29 novembre 2023
Patto di quota lite con l’avvocato: in cosa consiste? è ammesso e valido oppure è vietato e vi è nullità? La questione, anche a seguito di alcune modifiche del codice civile, è controversia Vediamo in cosa consiste il patto di quota lite, quale può essere un esempio o fac simile di tale accordo e la differenza rispetto al palmario. in merito alla questione della nullità o ammissibilità di tale patto, una sentenza di Cassazione ha affrontato in modo compiuto la questione del patto di quota lite dell’avvocato e della sua validità e nullità.
Patto di quota lite: in cosa consiste?
Il patto di quota lite è un accordo tra avvocato e cliente in cui l'avvocato riceve, come compenso per il suo operato professionale, una quota dei beni o diritti oggetto del contenzioso. Questo tipo di accordo, secondo la Cassazione (sentenza n. 11485 del 19 novembre 1997), stabilisce che il compenso dell’avvocato sia calcolato in percentuale rispetto al risultato ottenuto dal cliente, anziché essere basato sull'importanza dell'opera professionale svolta.
Tuttavia, l'articolo 2233 del codice civile italiano stabiliva originariamente un divieto per questo tipo di accordi, sottolineando che non è permesso all’avvocato di stipulare un accordo che preveda la partecipazione agli interessi economici finali e esterni alla prestazione professionale derivanti dalla lite. Questo divieto era volto a prevenire che l'avvocato si interessasse direttamente al bene oggetto della lite, il che potrebbe compromettere l'obiettività e l'indipendenza necessarie nell'esercizio del suo mandato professionale.
Il divieto del patto di quota lite era stato abrogato dal D.L. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2011, ma è stato successivamente ripristinato dall'articolo 13, comma 4, della legge n. 247 del 2012. La ragione di tale divieto risiede nella necessità di tutelare gli interessi del cliente e di mantenere la dignità e la moralità della professione forense, evitando che l'avvocato diventi parte interessata negli esiti economici del caso.
In sostanza, l'avvocato non può ricevere come compenso una parte dei beni o diritti oggetto della controversia. Questo perché un tale accordo potrebbe minare la serenità e l'obiettività richieste nell'espletamento del suo mandato, riducendo la distanza necessaria tra l'avvocato e gli esiti della lite. Un rapporto professionale basato su questo tipo di compenso rischierebbe di trasformarsi da un rapporto di scambio a un rapporto associativo, dove l'avvocato ha un interesse diretto nell'esito del caso.
Patto di quota lite consentito e vietato: quali differenze?
L'articolo 13, comma 4, della Legge n. 247/2012 ha ripristinato il divieto del patto di quota lite, creando una situazione di apparente dicotomia normativa rispetto al comma 3 dello stesso articolo. Mentre il comma 4 vieta esplicitamente i patti in cui l'avvocato riceve come compenso una parte del bene oggetto della controversia o del diritto litigioso, il comma 3 ammette la libera pattuizione dei compensi, incluso il calcolo a percentuale sul valore dell'affare o su quanto il cliente possa trarne vantaggio, anche a livello non strettamente patrimoniale: tale terzo comma, infatti, prevede che "la pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione".
Questa apparente contraddizione è stata chiarita dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 225 del 30 dicembre 2013, che stabilisce una distinzione fondamentale per determinare quando un patto di quota lite è valido e quando è nullo. Il patto di quota lite è legittimo quando il compenso dell'avvocato è stabilito come una percentuale sul valore dei beni o degli interessi in lite, ma non è direttamente collegato all'esito della controversia. In altre parole, il compenso può essere basato su una valutazione anticipata del vantaggio che il cliente si prevede di ottenere, ma non sul risultato effettivo raggiunto al termine della causa.
Pertanto, un patto di quota lite che determina il compenso dell’avvocato in percentuale direttamente proporzionale al risultato conseguito, come ad esempio la somma attribuita in una sentenza, è considerato nullo. Questo perché realizzerebbe, direttamente o indirettamente, la cessione del credito o del bene litigioso, contravvenendo al divieto posto dall'articolo 1261 del codice civile.
In conclusione, dopo la Legge n. 247/2012, esistono due tipi di patti di quota lite: quello legittimo, che lega il compenso a una percentuale calcolata sul valore dei beni o degli interessi in lite, e quello nullo, che stabilisce una percentuale basata sull'esito concreto della causa, configurandosi come una partecipazione diretta ai beni o ai diritti oggetto della lite.
L'art. 25 del codice deontologico forense
Sulla questione assume rilievo anche l'art. 25 del codice deontologico forense, che conferma questa impostazione per la quale il divieto ha ad oggetto il compenso avente ad oggetto una quota del bene oggetto di causa o di sentenza. La previsione, infatti, indica:
"1. La pattuizione dei compensi, fermo quanto previsto dall’art. 29, quarto comma, è libera. È ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene il destinatario della prestazione, non soltanto a livello strettamente patrimoniale.
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2. Sono vietati i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa.
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3. La violazione del divieto di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi".
Fac simile di patto di quota lite vietato e nullo
Alla luce dell’indicazione che precede ecco un fac simile di patto di quota lite vietato e nullo:
Il presente patto stabilisce le condizioni per la prestazione professionale dell'Avv. [NOME E COGNOME] in favore del cliente in relazione alla causa civile da proporre nel suo interesse.
Il compenso è pattuito con un patto di quota lite nei seguenti termini: nessun compenso fisso è dovuto per cui, se la causa si concluderà con un esito sfavorevole per il cliente, nessun compenso sarà dovuto all’avvocato; in caso di esito positivo della causa l’avvocato riceverà come compenso il 15% dell'importo totale riconosciuto al cliente.
Fac Simile di accordo sul compenso valido
Come detto, il patto di quota lite è valido nella sostanza se non è ancorato al risultato ma al valore della causa presunto.
Come visto la legge 247 del 2012 prevede che il compenso possa essere una "percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene".
Ma, se è così, chiaramente non si tratta di un vero e proprio patto di quota lite, vale a dire un compenso commisurato al risultato.
Una ipotesi di accordo valido potrebbe dunque essere il seguente:
Il presente patto stabilisce le condizioni per la prestazione professionale dell'Avv. [NOME E COGNOME] in favore del cliente in relazione alla causa civile da proporre nel suo interesse.
Le parti concordano che il valore della causa da proporre sia pari a euro [IMPORTO] e che il compenso dell'avvocato sia pari al 15% di tale importo.
Patto di quota lite e palmario
Il palmario è un tipo di compenso che si distingue nettamente dal patto di quota lite, il quale è vietato dalla normativa vigente. Il palmario è una somma di denaro corrisposta o promessa dal cliente all'avvocato, determinata in anticipo e può essere prevista sia in aggiunta all'onorario standard sia come sostituzione dello stesso. La particolarità del palmario risiede nel fatto che il suo pagamento è correlato alla conclusione favorevole di una lite o di una questione stragiudiziale.
A differenza del patto di quota lite, che prevede che l'avvocato riceva una percentuale dei beni o diritti oggetto della controversia e quindi è legato direttamente all'esito economico del caso, il palmario rappresenta un compenso aggiuntivo che il cliente si impegna a versare per il successo ottenuto o per la complessità dell'attività svolta dall'avvocato. Si tratta quindi di un compenso suppletivo straordinario, legittimo e conforme alla normativa, in quanto è permesso alle parti di concordare un onorario "libero".
La legittimità del palmario è stata confermata più volte anche dalla Cassazione e da ultimo con la sentenza Cassazione 26 aprile 2012, n. 6519 per la quale “In tema di compensi professionali, non sussiste il patto di quota lite, vietato dal terzo comma dell'art. 2233 cod. civ. (nella formulazione "ratione temporis" applicabile, antecedente alla sostituzione operante dall'art. 2, comma 2-bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modifiche, nella legge 4 agosto 2006, n. 248), non solo nel caso di convenzione che preveda il pagamento al difensore sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, di una somma di denaro (anche se in percentuale all'importo, riconosciuto in giudizio alla parte) non in sostituzione, bensì in aggiunta all'onorario, a titolo di premio (cosiddetto palmario), o di compenso straordinario per l'importanza e difficoltà della prestazione professionale, ma anche quando la pattuizione del compenso al professionista, ancorché limitato agli acconti versati, sia sostanzialmente, seppur implicitamente, collegata all'importanza delle prestazioni professionali od al valore della controversia e non in modo totale o prevalente all'esito della lite”.
Di recente, peraltro, le Sezioni Unite hanno indicato che tale somma incassata a titolo di palmario rappresenta parte del compenso dell’avvocato e come tale deve essere fatturata: “Il "palmario" costituisce una componente aggiuntiva del compenso, riconosciuta dal cliente all'avvocato in caso di esito favorevole della lite a titolo di premio o di compenso straordinario per l'importanza e difficoltà della prestazione professionale. La connotazione premiante del "palmario" non fa venir meno la sua natura di compenso: come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione. Pertanto, l'avvocato ha l'obbligo, previsto dagli artt. 16 e 29, terzo comma, del codice deontologico, di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l'attribuzione patrimoniale effettuata in favore del medesimo costituisca adempimento del "palmario" convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo” (Cassazione Sezioni Unite 8 giugno 2023, n. 16252).
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