Patto quota lite
Patto quota lite con l’avvocato: in cosa consiste? È vietato
e nullo oppure può essere pattuito?
La questione, anche a seguito di alcune modifiche del codice
civile, è controversa.
Di recente una sentenza di Cassazione ha affrontato in modo
compiuto la questione del patto di quota lite dell’avvocato e della sua
validità e nullità.
Vediamo le motivazioni e la conclusione.

Patto di quota lite dell'avvocato: è nullo o vietato e comunque contestabile
Rinviamo alla successiva analitica disamina.
In sintesi la recente sentenza Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914:
- ricorda che per certi periodi vi fosse un espresso divieto di stipulare un patto di quota lite;
- indica però che, anche quando il divieto non c’era, rientrava nei comuni poteri del giudice valutare ai senti dell’art. 2233 cc. l’adeguatezza e la proporzionalità della misura del compenso rispetto all'opera prestata.
La decisione è di rilievo perché lo stesso potere potrebbe
portare a valutare e disapplicare un accordo sulla misura del compenso pattuito
senza la previsione di un patto di quota lite, ma con una misura del tutto
sproporzionata.
Patto quota lite: il caso esaminato da Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914
La sentenza Cass. 5
ottobre 2022, n. 28914 si sofferma sulla questione della validità e
nullità di un patto di quota lite concluso tra un avvocato e un cliente.
In particolare, in causa
il cliente aveva dedotto “la nullità del patto di quota per cui è causa,
stante la inderogabilità dell'art. 2233 c.c., comma 2, ("(i)n ogni
caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al
decoro della professione"), in relazione agli artt. 43 e 45 del codice
deontologico forense”.
Ricorda peraltro la sentenza che la vicenda coinvolgeva la
validità un patto di quota lite stipulato il 12 gennaio 2009, vale a dire dopo:
- l'entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, art.
2, comma 1, lett. a), come modificato in sede di conversione dalla L. n.
248 del 2006 (il quale aveva disposto l'abrogazione delle disposizioni
normative che, con riferimento alle attività libero professionali e
intellettuali, prevedessero "il divieto di pattuire compensi parametrati
al raggiungimento degli obiettivi perseguiti");
- nonché dopo, quindi, la riformulazione dell'art. 2233 c.c., comma 3, operata dal medesimo D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, (che aveva abrogato il testo previgente secondo cui "(g)li avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni");
- e prima, invece, dell'entrata in vigore della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense). La L. n. 247 del 2012, art. 13, invero, dapprima, al comma 3, stabilisce che "Dia pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione"; di seguito, tuttavia, all'art. 13, comma 4, cit. dispone: "(s)ono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa".
Codice deontologico forense dell'avvocato e patto di quota lite
Sempre la sentenza sul patto di quota lite dell’avvocato,
ricorda che l'art. 45 del codice deontologico forense nel testo
modificato con la delibera C.N. F. del 18 gennaio 2007 (tramutatosi poi nel
novellato art. 29, comma 4) consentiva all'avvocato di pattuire con il cliente
compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il
divieto dell'art. 1261 c.c., ma sempre che gli stessi compensi fossero
"proporzionati all'attività svolta".
Peraltro, su tale previsione le Sezioni Unite hanno ritenuto
che la prescrizione dell'art. 45 del codice deontologico (che faceva il paio
con la previsione dell'art. 43, punto II dello stesso codice) avesse inteso
"prevenire il rischio di abusi commessi a danno del cliente e a precludere
la conclusione di accordi iniqui", nel senso che "(I)a proporzione e
la ragionevolezza nella pattuizione del compenso" rimanessero
"l'essenza comportamentale richiesta all'avvocato, indipendentemente dalle
modalità di determinazione del corrispettivo a lui spettante". Di tal che,
"(l)'aleatorietà dell'accordo quotalizio non esclude la possibilità di
valutarne l'equità: se, cioè, la stima effettuata dalle parti era, all'epoca
della conclusione dell'accordo che lega compenso e risultato, ragionevole o, al
contrario, sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, tenuto
conto di tutti i fattori rilevanti, in particolare del valore e della
complessità della lite e della natura del servizio professionale, comprensivo
dell'assunzione del rischio" (così Cass. Sez. Unite, 25/11/2014, n.
25012; conforme Cass. Sez. Unite, 04/03/2021, n. 6002).
Cass. 5 ottobre 2022,
n. 28914 su patto di quota lite dell’avvocato sottolinea che “nella
interpretazione prescelta dalle Sezioni Unite, dunque, la proporzionalità,
deontologicamente imposta, del compenso pattuito dall'avvocato
"quotista" attiene a valutazione non solo sul quantum, ma anche sulle
modalità comportamentali dell'accordo concluso col cliente, sotto un profilo di
"equità" della stima effettuata dalle parti al momento della stipula,
ovvero di complessivo equilibrio contrattuale, prospettiva che attiene alla
causa del contratto e dischiude evidentemente la tutela di interessi generali
(arg. da Cass. Sez. Unite, 12/12/2014, n. 26243). L'imposto controllo di
ragionevolezza del patto di quota lite, teso a scongiurare l'iniquità dell'accordo
concluso, non appare limitato al rispetto di doveri di comportamento ad opera
dell'avvocato nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del
contratto, doveri la cui violazione potrebbe essere unicamente fonte di
responsabilità risarcitoria; esso, piuttosto, guarda allo squilibrio
significativo tra i diritti e gli obblighi delle parti ed alla giustificazione
dei reciproci spostamenti patrimoniali, e, dunque, alla verifica in concreto
del requisito causale (la "ragion d'essere dell'operazione", valutata
nella sua individualità) sotto il profilo della liceità e dell'adeguatezza
dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai
contraenti (si vedano indicativamente Cass. Sez. 3, 09/07/2020, n. 14595; Cass.
Sez. 2, 29/05/2020, n. 10324; Cass. Sez. Unite, 24/09/2018, n. 22437)”.
Contestabilità in sede civile della misura del compenso pattuito, non solo in caso di patto di quota lite con l’avvocato
Ciò che è di
particolare interesse nella sentenza Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 sul
patto di quota lite è che il controllo di ragionevolezza della misura del compenso
-per tale sentenza- non attiene alla sola regola disciplinare ma anche ai
rapporti privatistici, potendo mettersi in discussione la proporzionalità tra
la misura del compenso pattuita e l’opera prestata.
Il ruolo del giudice
fissato dall’art. 2233 cc, per tale decisione, non è relegato alla sola
liquidazione di un compenso non pattuito ma anche alla valutazione di quello
pattuito: “il sindacato giudiziale sull'adeguatezza e sulla
proporzionalità della misura del compenso rispetto all'opera prestata trova
fondamento nell'art. 2233 c.c., comma 2, (intendendosi lo stesso non come
intervento soltanto suppletivo del giudice, ove manchi una valutazione pattizia
dei contraenti) e nell'art. 45 del codice deontologico. L'indagine è portata
sulla causa concreta del contratto e sull'equilibrio sinallagmatico (non
meramente economico) delle prestazioni, ovvero sullo scopo pratico del
regolamento negoziale, ed ha come approdo eventuale la nullità del patto di quota
lite, ai sensi dell'art. 1418 c.c., comma 2. Tale nullità non concerne
l'intero contratto di patrocinio, ma soltanto la clausola relativa, ai sensi
dell'art. 1419 c.c., comma 2, (Cass. Sez. 2, 30/07/2018, n. 20069)” (Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 su patto
di quota lite avvocato).
Da tale prospettiva ha un rilievo, anche sul piano civilistico,
la regola deontologica sopra richiamata: “la norma deontologica che fissa il
criterio di proporzionalità dei compensi dell'avvocato, del resto, non rivela
una portata limitata al rapporto corrente tra il professionista e l'ordine di
appartenenza, e perciò rientra tra le fonti secondarie di integrazione del contratto
di patrocinio ex art. 1374 c.c., sì da contemperare gli opposti
interessi delle parti e da imporre una verifica di adeguatezza delle clausole
pattuite a garantire l'equilibrio economico dell'accordo” (Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 su patto
di quota lite avvocato).
Sottolineiamo che la motivazione è riferita a un patto di
quota di lite ma potrebbe avere rilievo per qualunque pattuizione
sproporzionata.
Nella sostanza la Cassazione indica che, anche nel periodo in
cui non c’era il divieto di patto di quota lite, al giudice spetta valutare (perché
queto lo può sempre fare) l'adeguatezza e la proporzionalità della misura del
compenso rispetto all'opera prestata. Ma questo potere, a ritenerlo sussistente
e fondato sull’art. 2233 c.c., ben può applicarsi anche a un compenso non contenente
un patto di quota lite ma solamente un compenso del tutto sproporzionato.
Patto quota lite avvocato: vietato e nullo e valutabile nel breve periodo in cui prevista validità
Come detto, quindi, per Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914, anche nel periodo in cui non vi era
una previsione espressa che prevedeva che il patto di quita lite fosse nullo e vietato, resta
da discutere di una sua validità.
Nel periodo di
mancanza di divieto, il patto di quota lite non era vietato e nullo atomicamente, ma vi
era comunque il potere del giudice di sindacare la pattuizione.
La sentenza indica che
“il Collegio ritiene pertanto di non condividere quanto affermato nella
motivazione della sentenza della Terza sezione civile 6 luglio 2018, n. 17726,
secondo cui il patto di quota lite stipulato durante la vigenza del D.L.
n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a), conv., con modif., in L.
n. 248 del 2006, e prima dell'entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, art.
13, comma 4, può ex se validamente prevedere compensi maggiori rispetto ai
massimi tariffari, non deponendo in senso contrario nè precetti riferibili ad
un interesse generale, nè le violazioni del codice deontologico, nè le
eventuali sproporzioni fra il compenso pattuito e la prestazione professionale
resa, mai potendo tale sproporzione comportare "una non prevista nullità
del patto, ma, al limite, una riconduzione ad equità” (Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 su patto di quota lite avvocato).
Conclusioni su patto quota lite avvocato
Alla luce di tutte queste indicazioni Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 su patto
di quota lite avvocato ha enunciato il seguente principio di diritto “il
patto di quota lite, stipulato dopo la riformulazione dell'art. 2233 c.c.,
comma 3, operata dal D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248
del 2006, e prima dell'entrata in vigore della L. n. 247 del 2012, art.
13, comma 4, che non violi il divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui
all'art. 1261 c.c., è valido se, valutato sotto il profilo causale della
liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici
interessi perseguiti dai contraenti, nonché sotto il profilo dell'equità alla
stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice
deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra
compenso e risultato effettuata dalle parti all'epoca della conclusione
dell'accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di
mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente
e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali”.