11 ottobre 2022
Compenso avvocato sproporzionato. Come noto le tariffe professionali sono state abrogate e sono oggi in vigore i parametri forensi, che avrebbero anzitutto la funzione di consentire al giudice di liquidare le spese legali secondo dei criteri prestabiliti. L’eliminazione delle tariffe obbligatore, consente oggi ai sensi dell’art. 2233 cc a cliente e avvocato di pattuire liberamente il compenso, senza che i parametri forensi impediscano la pattuizione non avendo natura di tariffa e non essendo vincolanti. Ma è sempre valida qualunque pattuizione sulla misura dell’onorario dell’avvocato anche laddove sia sproporzionato? Una recente sentenza della Cassazione ritiene che la libertà negoziale non sia assoluta e il giudice abbia il potere di valutare ai sensi dell’art. 2233 cc. l’adeguatezza e la proporzionalità della misura del compenso rispetto all'opera prestata. È dunque possibile impugnare l’accordo concluso che contenga un compenso del tutto sproporzionato o eccessivo?
L'art 2233 cc e il compenso sproporzionato dell'avvocato
L’art. 2233 cc sul compenso dell’avvocato prevede nei primi due commi che “il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione”.
La giurisprudenza da tempo evidenzia che la previsione contiene una gerarchia nei criteri di determinazione del compenso professionale dell’avvocato. Ad esempio Cass. 23 maggio 2000, n. 6732 indica proprio che “in tema di compensi spettanti ai prestatori d'opera intellettuale, l'art. 2233 c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai relativi criteri di liquidazione, indicando, in primo luogo, l'accordo delle parti, in via soltanto subordinata le tariffe professionali ovvero gli usi, in estremo subordine, infine, la decisione del giudice, previo parere obbligatorio (anche se non vincolante) delle associazioni professionali; pertanto, il ricorso a tali criteri di carattere sussidiario è precluso al giudice quando esista uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione”.
Venute meno le tariffe, che in passato ponevano una questione di inderogabilità, tanto più oggi è confermata l’indicazione per la quale è l’accordo delle parti lo strumento principale per la fissazione della misura del compenso dell’avvocato.
Ma sempre, anche quando è sproporzionato?
Cosa accade se le parti pattuiscono un onorario dell’avvocato all’evidenza molto elevato o, comunque, appunto sproporzionato?
La risposta più semplice, ma oggi messa in discussione dalla Cassazione, è che spetta alle parti, nella loro autonomia contrattuale, accordarsi sulla misura del compenso, restando quindi irrilevante il fatto che sia sproporzionato (salvo immaginare la presenza di un vizio del consenso o gli estremi per la rescissione). Insomma, come per qualsiasi contratto la risposta potrebbe essere che il prezzo sproporzionato (diverso da quello di mercato) non è contestabile salvo che ricorrano delle patologie che coinvolgono il consenso.
Ma Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 offre una soluzione differente, come vedremo subito.
Compenso sproporzionato avvocato: il codice deontologico
Prima di vedere quale soluzione offra Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914, occorre ricordare che il codice deontologico forense contiene una previsione sull’onorario sproporzionato dell’avvocato.
L’art. 29 al n. 4 indica che “l’avvocato non deve richiedere compensi o acconti manifestamente sproporzionati all’attività svolta o da svolgere”.
Per cui la richiesta o anche la pattuizione di un compenso sproporzionato, magari accettato, può comunque essere fonte di responsabilità disciplinare.
Ma questo incide anche dal profilo civilistico?
Pur se Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 sottolinea che la norma deontologica potrebbe integrare in qualche modo la previsione codicistica, ci pare che in ogni caso non possa arrivare a far ritenere invalido un contratto in assenza di una previsione codicistica che limiti l’autonomia contrattuale delle parti nello stabilire la misura del compenso anche sproporzionato dell’avvocato.
Compenso avvocato sproporzionato: per Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 è invalido
La sentenza Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 ritiene che le parti non siano libere di fissare un qualsiasi compenso dell’avvocato, anche ad esempio sproporzionato.
Valorizza il secondo comma dell’art. 2233 cc: la previsione, dopo aver indicato al primo comma che l’accordo delle parti è il criterio principale per la determinazione del compenso professionale e aver indicato dei criteri supplettivi, indica che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione”.
Previsione che per Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 non vale solo a guidare il giudice quando debba lui direttamente liquidare l’onorario in assenza di accordo, ma che potrebbe rappresentare uno strumento di controllo dell’autonomia contrattuale: non solo per tutelare l’avvocato da accordi iniqui perché troppo bassi (magari conclusi con clienti forti) ma anche i clienti da accordi con un compenso molto elevato e sproporzionato.
Si tratta di una lettura ad oggi non valorizzata fino a tal punto, ma che è possibile in relazione alla lettera della norma.
La motivazione di Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 sul compenso sproporzionato dell’avvocato
La sentenza, per giustificare la ritenuta invalidità della pattuizione concernente il compenso sproporzionato pattuito con l’avvocato (pur affrontando la questione in relazione alla riducibilità del patto di quota lite quando questo era valido) evidenzia che “il sindacato giudiziale sull'adeguatezza e sulla proporzionalità della misura del compenso rispetto all'opera prestata trova fondamento nell'art. 2233 c.c., comma 2, (intendendosi lo stesso non come intervento soltanto suppletivo del giudice, ove manchi una valutazione pattizia dei contraenti) e nell'art. 45 del codice deontologico. L'indagine è portata sulla causa concreta del contratto e sull'equilibrio sinallagmatico (non meramente economico) delle prestazioni, ovvero sullo scopo pratico del regolamento negoziale, ed ha come approdo eventuale la nullità del patto di quota lite, ai sensi dell'art. 1418 c.c., comma 2. Tale nullità non concerne l'intero contratto di patrocinio, ma soltanto la clausola relativa, ai sensi dell'art. 1419 c.c., comma 2, (Cass. Sez. 2, 30/07/2018, n. 20069)” (Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 su patto di quota lite avvocato)” (Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 sull’onorario sproporzionato con l’avvocato).
La conclusione della sentenza Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 sull’onorario pattuito con l’avvocato “è valido se, valutato sotto il profilo causale della liceità e dell'adeguatezza dell'assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dai contraenti, nonchè sotto il profilo dell'equità alla stregua della regola integrativa di cui all'art. 45 del codice deontologico forense, nel testo deliberato il 18 gennaio 2007, la stima tra compenso e risultato effettuata dalle parti all'epoca della conclusione dell'accordo non risulta sproporzionata per eccesso rispetto alla tariffa di mercato, rispondendo lo scopo di prevenire eventuali abusi a danno del cliente e di impedire la stipula di accordi iniqui alla tutela di interessi generali” (Cass. 5 ottobre 2022, n. 28914 sull’onorario sproporzionato con l’avvocato).
Compenso avvocato sproporzionato: conclusioni
In conclusione la sentenza ritiene che il secondo comma dell’art. 2233 cc abbia natura imperativa e sia destinato a trovare applicazione non solo come guida per il giudice che debba liquidare l’onorario ma anche per la valutazione della validità dell’accordo tra cliente e avvocato sulla misura del compenso.
Chiaramente la nullità dell’accordo sulla misura del compenso non potrà essere valutata in astratto o derivare da un qualunque scostamento dai parametri forensi: occorrerà verificare se sia sproporzionato in modo considerevole e tener conto delle altre circostanze del caso concreto.
di Marco Ticozzi
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