Licenziamento per giusta causa

Licenziamento per giusta causa: cosa significa
Il licenziamento è l’atto mediante cui il datore di lavoro
procede alla recessione del contratto lavorativo in modo unilaterale. Affinché
venga licenziato un dipendente, debbono sussistere diverse condizioni che
possono dipendere direttamente dalla condotta assunta dal lavoratore, o dalla
specifica situazione in cui riversa l’azienda per cui egli lavora, secondo
quanto stabilisce la legge numero 604 del 15 luglio1966 e la numero 108 dell’11
maggio 1990.
Nello specifico per ciò che riguarda la condotta del
lavoratore dipendente, ad essa vengono ricondotte le motivazioni poste alla
base del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. mentre
per ciò che concerne la situazione relativa all’azienda, ad essa si riconducono
le cause di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ma cosa si intende
per licenziamento per “giusta causa”? Vediamolo nel seguito.
Nozione di giusta causa nel licenziamento
La nozione di giusta causa compare all’articolo 2119 del
Codice Civile in cui si dispone che il datore di lavoro possa recedere il
contratto a tempo interminato, senza che vi sia necessità di preavviso qualora
si verifichino trasgressioni o gravi inadempienze che non permettano di
proseguire il rapporto lavorativo.
Si tratterebbe dunque, di circostanze che abbiano di fatto
pregiudicato la fiducia tra le parti, e che nella sostanza, non consentano
l’applicazione di una sanzione che non sia il licenziamento. Data la gravità
della inadempienza che legittima il licenziamento per giusta causa, non è
inoltre prevista l’erogazione dell’indennità di preavviso da parte del datore
di lavoro che in tal caso, è tenuto a tutelare i propri interessi.
Licenziamento per giusta causa: l’attivazione del procedimento disciplinare
Va detto che il licenziamento per giusta causa rientra nelle
sanzioni disciplinari ed in quanto tale affinché sia applicato, necessita
dell’attivazione di un procedimento disciplinare. Il primo passo dell’iter
prevede che venga comunicata al lavoratore tramite lettera formale, la
contestazione di addebito perché possa dunque difendersi dall’accusa. Il
dipendente ha cinque giorni di tempo per richiedere di essere ascoltato e per
presentare la propria difesa.
Trascorso questo tempo, il datore di lavoro potrà
trasmettere la lettera di licenziamento. Il dipendente a questo punto può
comunque impugnare il licenziamento per giusta causa attraverso comunicazione
per mezzo di lettera scritta, che dovrà inviare entro 60 giorni. Il ricorso in
tribunale potrà invece essere presentato nei 180 giorni successivi, tramite
avvocato.
In questo senso, la Cassazione in tema di licenziamento per
giusta causa evidenzia che “In tema di sanzioni disciplinari, il parametro
normativo di cui all'art. 7,
comma 2, della legge
n. 300 del 1970 che pone a carico del datore di lavoro il divieto di
adottare un provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza
avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua
difesa, esige che la contestazione mossa contenga le indicazioni necessarie ed
essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali
il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari ai fini
dell'esercizio, da parte del lavoratore, del predetto diritto di difesa (Nel
caso di specie, accogliendo il ricorso di parte datoriale avverso la sentenza
impugnata che, in riforma della pronunzia di primo grado, aveva accolto
l'azione proposta dal lavoratore, dichiarando l'illegittimità del licenziamento al medesimo
intimato per giusta causa, la Suprema Corte,
cassando con rinvio, ha ritenuto che i giudici d'appello avessero nella
circostanza del tutto trascurato di valutare l'incidenza della asserita mancata
specificazione dei fatti sull'esercizio del diritto di difesa, onde
l'integrazione del vizio di violazione di legge denunciato in sede di
legittimità)” (Cassazione 25 ottobre 2022, n. 31526 in tema di licenziamento
per giusta causa).
Per altro verso, la Cassazione in tema di licenziamento per
giusta causa richiede anche che la contestazione venga mossa in prossimità
della violazione e non a distanza di un tempo troppo ampio: infatti “Il
principio dell'immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratio
riflette l'esigenza dell'osservanza della regola della buona fede e della
correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro, non consente
all'imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in
modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l'incertezza
sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l'immediatezza
della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di
recesso del datore di lavoro. Si tratta tuttavia di nozione che deve essere
intesa in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura
dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento
delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l'organizzazione
aziendale. È onere del datore di lavoro dare conto delle ragioni che possono
cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o
la complessità della struttura organizzativa dell'impresa), e la valutazione
delle allegazioni e delle prove è riservata al giudice di merito e non è
sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti in cui è ancora consentita
la denuncia del vizio di motivazione” (Cass. 14 ottobre 2022, n. 30271 in
tema di licenziamento per giusta causa)
Licenziamento per giustificato motivo
È necessario sottolineare che il licenziamento per giusta
causa e il licenziamento per giustificato motivo, non sono la stessa cosa e non
vanno pertanto confusi. In particolare va fatta una distinzione, secondo quanto
espresso nell’art. 3 della legge 604/1966, tra le circostanze che ricadono nel
giustificato motivo oggettivo e quelle che invece rientrano nel giustificato
motivo soggettivo.
Nella prima categoria troviamo le ragioni riguardanti le attività
produttive ed organizzative dell’azienda e quindi le questioni di ordine
economico-organizzativo, nella seconda categoria invece, ricadono gli
inadempimenti degli obblighi contrattuali di cui è responsabile il lavoratore
dipendente. Per quanto abbiamo precedentemente trattato, appare dunque evidente
che il concetto di licenziamento per giusta causa, sia proprio connesso a
quello di giustificato motivo soggettivo ma non sono la stessa cosa. Vediamo a
questo punto, maggiormente nel dettaglio, quali possono essere i casi che nella
sostanza costituiscono giusta causa per il licenziamento.
Il licenziamento e la clausola generale della giusta causa secondo la Cassazione
A questo punto, affinché quanto espresso non resti solo una trattazione
teorica, non ci resta che presentare quelle che sono le circostanze in cui più
frequentemente si può far ricorso al licenziamento per giusta causa.
Come evidenzia la Cassazione in tema di licenziamento per
giusta causa, infatti, la regola generale sul licenziamento per giusta causa
poi va calata nel contesto concreto al fine di dettagliare in cosa consista,
appunto in concreto, questa clausola generale della giusta causa. Si è,
infatti, sottolineato che “la giusta causa di licenziamento è una nozione che la legge, allo scopo di
un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole
nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle
c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico
che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la
valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di
principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni
del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è
quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre
l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli
elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della
loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di
fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di
errori logici o giuridici” (Cass. 30 settembre 2022, n. 28515 in tema di
licenziamento per giusta causa).
Allo stesso modo, sempre la Cassazione in tema di licenziamento
per giusta causa indica che “in tema di licenziamento i concetti di giusta causa e di
proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali,
vale a dire disposizioni di limitato contenuto, che richiedono di essere
concretizzate dall'interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni
relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla
norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui
disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a
condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia
di incoerenza del giudizio rispetto agli "standards" esistenti nella
realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta
ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo,
accertamento che è riservato ai giudici di merito” (Cass. 06 settembre 2022, n.
26198 28515 in tema di licenziamento per giusta causa)
Il licenziamento per giusta causa: i casi concreti
Ecco dunque, espressi per punti, i maggiori motivi per cui
si licenzia per giusta causa:
- Uso scorretto dei permessi secondo quanto stabilito dalla ex
legge 104 del 1992;
- Dichiarazione di falsa malattia e/o falso infortunio da
parte del lavoratore dipendente;
- Violazione dell’accordo sul patto di non concorrenza;
- Timbrature false del cartellino (per se stesso o per conto
di terzi);
- Il dipendente si rifiuta senza alcuna giustificazione e in
modo reiterato di eseguire la prestazione lavorativa richiesta;
- Il dipendente abbandona in modo ingiustificato il luogo di
lavoro lasciando eventualmente attrezzature ed impianti senza l’adeguata messa
in sicurezza con rischio concreto per l’incolumità altrui;
- Il dipendente assume atteggiamenti di insubordinazione ad
esempio per mezzo di minacce ai propri superiori;
- Il lavoratore dipendente si rifiuta di tornare al lavoro
dopo che mediante visita medica fiscale sia stata appurata l’insussistenza di
malattia;
- Il dipendente, pregiudicando la propria guarigione, esegue
prestazioni lavorative per terzi, durante il periodo di malattia;
- Il dipendente durante il periodo lavorativo, sottrae beni
all’azienda;
- Il lavoratore dipendente assume una condotta ed un
atteggiamento penalmente rilevanti, tali da far cessare ogni vincolo di fiducia
tra le parti.
Non possono invece considerarsi motivi validi ai fini del
licenziamento per giusta causa, le situazioni di cui è responsabile il datore
di lavoro o che riguardino eventuali cessioni dell’azienda e/o il fallimento
della stessa. Non sono altresì validi, i motivi legati all’incapacità del
lavoratore.