28 ottobre 2025
Difformità catastale: cos’è, quando comporta nullità dell’atto e quando dà diritto al risarcimento danni. La difformità catastale si verifica quando lo stato reale di un immobile non coincide con i dati registrati in Catasto. Può riguardare errori formali o modifiche lievi, ma anche irregolarità più gravi che incidono sulla validità della compravendita. La legge distingue nettamente tra assenza del titolo edilizio — che comporta nullità dell’atto — e difformità minori o sanabili, che non invalidano il rogito ma possono generare responsabilità o risarcimento danni. Cosa succede se la difformità emerge dopo il rogito? E quali obblighi ha il venditore nel preliminare di compravendita? La recente Cassazione n. 13959/2025 ha chiarito che la nullità riguarda solo i casi in cui manchino gli estremi del permesso di costruire o della sanatoria, mentre le irregolarità catastali lievi restano sul piano dell’inadempimento. L’atto è valido, ma l’acquirente può chiedere la correzione o il risarcimento se la difformità incide sul valore o sull’uso dell’immobile. Scopri come distinguere le difformità catastali gravi e non sanabili da quelle lievi, come gestire le clausole di accettazione consapevole e quali rimedi sono previsti per tutelarsi in caso di errore o omissione.
Cos’è la difformità catastale e perché può avere effetti giuridici
La difformità catastale si verifica quando i dati registrati presso il Catasto — come la planimetria o la destinazione d’uso — non corrispondono alla situazione reale dell’immobile. Può trattarsi di modifiche strutturali non aggiornate (ad esempio, un tramezzo spostato o un vano aggiunto), ma anche di differenze più rilevanti che incidono sulla tipologia o sulla consistenza del bene.
Sul piano giuridico, la difformità catastale non è di per sé sinonimo di illecito edilizio. Tuttavia, può produrre effetti importanti, perché la normativa impone che ogni atto di compravendita contenga una dichiarazione di conformità tra lo stato di fatto e i dati catastali. Se tale dichiarazione manca, è inesatta o si riferisce a un immobile privo di regolarità edilizia, l’atto può essere colpito da nullità o generare responsabilità tra le parti.
La disciplina, quindi, si colloca a metà strada tra diritto civile e diritto amministrativo: non punisce tanto la difformità in sé, quanto le conseguenze che questa produce sull’affidabilità dell’atto e sulla tutela degli acquirenti. Per comprendere la portata di tali effetti, occorre distinguere tra contratto preliminare e contratto definitivo, e tra nullità, inadempimento e responsabilità: tre piani distinti, ma spesso intrecciati.
La conformità catastale negli atti immobiliari: cosa impone la legge
La normativa italiana prevede due livelli di controllo. Il primo è di tipo catastale e deriva dall’art. 29, comma 1-bis, della Legge n. 52/1985: gli atti di trasferimento di diritti reali devono contenere “il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità dello stato di fatto ai dati catastali”. Tale dichiarazione non è un elemento accessorio, ma un requisito di validità: se manca, il notaio non può stipulare e il contratto è nullo.
Il secondo livello è quello urbanistico-edilizio, disciplinato dall’art. 46 del D.P.R. 380/2001, che prevede la nullità degli atti nei quali non risultino gli estremi del permesso di costruire o della sanatoria edilizia. La ratio è evidente: impedire la circolazione di immobili abusivi o privi di titolo legittimante.
Tuttavia, la legge non sanziona con la nullità qualsiasi difformità. Il sistema distingue tra assenza totale di titolo (che rende l’atto nullo) e difformità o irregolarità parziali, che possono essere oggetto di regolarizzazione o comportare responsabilità contrattuale, ma non fanno venir meno la validità dell’atto. La giurisprudenza — e, in particolare, la sentenza delle Sezioni Unite n. 8230/2019 — ha chiarito che la nullità è una “nullità testuale”, applicabile solo nei casi espressamente previsti dalla norma.
Il contratto preliminare: la difformità non porta nullità dell’atto ma può incidere sull’adempimento
Il contratto preliminare di compravendita non trasferisce la proprietà dell’immobile, ma obbliga le parti a concludere in futuro il contratto definitivo. Proprio perché ha natura obbligatoria e non reale, la presenza di una difformità catastale o edilizia non comporta nullità del preliminare. Lo ha ribadito la recente Cassazione civile n. 13959 del 2025, secondo cui l’obbligo di conformità catastale è richiesto soltanto al momento della stipula del rogito, non già in sede di compromesso.
Ciò non significa, però, che la difformità sia irrilevante. Se il promittente venditore si impegna a consegnare un immobile regolare e non provvede a sanarlo nei tempi concordati, può incorrere in inadempimento contrattuale, con il rischio di risoluzione del contratto o risarcimento del danno. La gravità dell’inadempimento va valutata in concreto, secondo l’art. 1455 c.c., in rapporto all’interesse dell’acquirente: se la difformità è marginale e facilmente sanabile, non giustifica il recesso; se invece incide sul valore o sull’utilizzo dell’immobile, può rendere legittimo lo scioglimento del vincolo.
La Cassazione, nella sentenza citata, ha inoltre richiamato il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), imponendo al venditore di collaborare attivamente alla regolarizzazione del bene, soprattutto se la conformità è necessaria per ottenere un mutuo o un leasing. In questo senso, la difformità nel preliminare non invalida l’accordo, ma può determinare responsabilità se compromette il risultato economico perseguito dalle parti.
Il contratto definitivo: quando la difformità comporta nullità dell’atto
Diversamente dal preliminare, il contratto definitivo di compravendita ha effetti reali: trasferisce la proprietà e richiede il rispetto rigoroso dei requisiti di legge. In questa fase, la presenza di determinate difformità può tradursi in nullità assoluta dell’atto, con conseguente inefficacia nei confronti di chiunque.
Secondo l’art. 29, comma 1-bis, della Legge n. 52/1985 e l’art. 46 del D.P.R. 380/2001, l’atto è nullo quando manca la dichiarazione di conformità catastale o quando l’immobile è privo di titolo edilizio. La nullità è definita “testuale” dalla giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 8230/2019): opera soltanto nei casi espressamente previsti dalla norma, non per analogia.
La conseguenza è netta: se nel rogito non vengono indicati gli estremi del permesso di costruire o della concessione in sanatoria, o se manca la dichiarazione del venditore circa la conformità catastale, l’atto non può essere stipulato e, se stipulato, è nullo. Ma la stessa Cassazione ha chiarito che, quando la dichiarazione è presente e si riferisce a un titolo reale, il contratto è valido anche se l’immobile presenta difformità esecutive rispetto al progetto autorizzato.
In altre parole, la nullità riguarda l’assenza del titolo, non la sua imperfezione. Le cosiddette “difformità secondarie” — come piccoli scostamenti interni, aperture non rappresentate o variazioni interne non strutturali — non impediscono la validità dell’atto. Possono comportare sanzioni amministrative o obblighi di regolarizzazione, ma non incidono sulla validità del trasferimento.
Difformità minori o sanabili: atto valido ma possibile responsabilità
Quando la difformità è lieve o regolarizzabile, l’atto di compravendita rimane valido, ma può nascere un diverso problema: quello della responsabilità del venditore per mancata conformità alle pattuizioni contrattuali.
Il punto è centrale nella prassi. La Cassazione, anche nella recente n. 13959/2025, ha sottolineato che l’obbligo di consegnare un immobile conforme non si esaurisce nel possesso del titolo edilizio, ma si estende al dovere di collaborare alla regolarizzazione. Un venditore che ometta di aggiornare la planimetria o taccia una variazione non rilevante sotto il profilo urbanistico può non essere colpevole di nullità, ma rispondere per inadempimento o per violazione del principio di buona fede.
La responsabilità sorge, in particolare, se la difformità — pur minima — compromette l’utilizzo dell’immobile o comporta costi di regolarizzazione che l’acquirente non poteva prevedere. In tali casi, l’acquirente può chiedere il risarcimento dei danni (ad esempio, spese tecniche, imposte aggiuntive o perdita di valore) o, nei casi più gravi, la risoluzione del contratto.
Diversamente, se la difformità è stata regolarmente comunicata e valutata nel prezzo, il venditore non può essere ritenuto responsabile. La regola è di equilibrio: l’atto resta valido, ma chi tace informazioni rilevanti ne risponde civilmente.
La conoscenza della difformità e le clausole di accettazione consapevole
Per evitare future contestazioni, la consapevolezza dell’acquirente rispetto alle difformità deve risultare da clausole espresse e specifiche, non da formule generiche. Scrivere che “l’acquirente accetta l’immobile nello stato di fatto in cui si trova” può avere un valore indiziario, ma non è sufficiente a escludere la responsabilità del venditore se la difformità non era chiara o non era stata quantificata nei suoi effetti.
La prassi più corretta, oggi consolidata anche tra notai e avvocati immobiliari, è quella di indicare con precisione le irregolarità note e la loro natura — ad esempio: “difformità catastale dovuta a spostamento interno di tramezzo” oppure “mancato aggiornamento della planimetria per lavori interni non strutturali” — e di aggiungere che tali difformità sono sanabili e non incidono sulla validità del titolo edilizio.
È altrettanto opportuno specificare che le parti ne hanno tenuto conto nella determinazione del prezzo, oppure che le spese di regolarizzazione saranno a carico dell’acquirente o del venditore, a seconda degli accordi. In tal modo, la clausola non si limita a un’accettazione generica, ma assume il valore di una pattuizione consapevole e negoziata, che rende trasparente l’equilibrio economico e giuridico dell’operazione.
La giurisprudenza (Cass. civ. n. 25357/2014) ritiene che, in presenza di una simile dichiarazione, il compratore non possa poi lamentare inadempimento o richiedere risarcimenti, poiché la difformità è stata esplicitamente riconosciuta e “prezzata” nel contratto. Restano esclusi, naturalmente, i casi di difformità gravi o non sanabili, per le quali la nullità dell’atto è inderogabile e non può essere superata nemmeno con una clausola di accettazione.
In sintesi, le clausole di consapevolezza sono efficaci solo se specifiche, circostanziate e proporzionate alla natura della difformità. Solo così si ottiene un equilibrio corretto: l’atto resta valido, il venditore non è responsabile, e l’acquirente acquista con piena consapevolezza del bene e dei costi di eventuale regolarizzazione.
Il ruolo del notaio: controlli formali e assenza di responsabilità per difformità lievi
Nel trasferimento immobiliare il notaio svolge una funzione essenziale, ma non è un tecnico edilizio. La legge gli impone di verificare che nell’atto siano presenti le dichiarazioni previste dall’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985 e dall’art. 46 del D.P.R. 380/2001, ossia il riferimento al titolo edilizio e la dichiarazione di conformità catastale. Se tali elementi mancano, il notaio non può stipulare.
Diversamente, quando il titolo edilizio esiste e la dichiarazione è resa, ma sussistono difformità minori o formali, il notaio non ha l’obbligo – né la possibilità – di verificarne la sostanza. La Cassazione penale (sentt. n. 35999/2008 e n. 11628/2012) ha escluso la responsabilità del pubblico ufficiale rogante in casi di irregolarità edilizie non dichiarate, ribadendo che il suo controllo è formale: deve accertare che la dichiarazione ci sia, non che sia vera.
La circolare del Consiglio Nazionale del Notariato n. 3138/1994 chiarisce lo stesso principio: gli abusi minori, pur sanzionabili amministrativamente, non incidono sull’attività negoziale e non impediscono la circolazione giuridica dell’immobile. In altre parole, il notaio può legittimamente rogare un atto anche in presenza di piccole difformità, purché sia dichiarato un titolo edilizio valido e riferibile al bene. Eventuali falsità o omissioni ricadono sul dichiarante, non sul notaio.
Responsabilità del venditore e risarcimento dei danni
Quando l’immobile presenta difformità non dichiarate o difformità che incidono sul valore o sull’utilizzo del bene, il venditore può essere chiamato a rispondere civilmente.
Il fondamento giuridico è l’art. 1489 c.c., che disciplina i casi in cui la cosa venduta è gravata da oneri o diritti non apparenti che ne diminuiscono il valore o l’uso.
La giurisprudenza (Cass. 25357/2014) ha esteso questa norma anche alle ipotesi di irregolarità urbanistiche o catastali non note all’acquirente.
Il risarcimento può comprendere:
- i costi di regolarizzazione e delle pratiche catastali;
- eventuali differenze di valore dell’immobile rispetto a quello promesso;
- le spese sostenute per ottenere permessi o sanatorie.
La responsabilità, tuttavia, non sussiste quando l’acquirente era consapevole della difformità e ha accettato l’immobile alle condizioni pattuite.
In tal caso, la clausola specifica di accettazione (come visto) libera il venditore.
L’azione di risarcimento segue la prescrizione ordinaria decennale, che decorre dal momento in cui l’acquirente scopre la difformità.
Nei casi più gravi – ad esempio, quando la difformità rende impossibile il trasferimento o impedisce l’utilizzo del bene – la parte lesa può anche domandare la risoluzione del contratto per inadempimento. Il confine tra nullità e inadempimento resta netto: la prima attiene alla mancanza dei presupposti legali dell’atto; il secondo alla violazione degli obblighi assunti dalle parti.
Difformità catastale dopo il rogito: tutele e rimedi per l’acquirente
Scoprire una difformità catastale dopo il rogito non comporta automaticamente la nullità dell’atto. Se al momento della stipula erano presenti la dichiarazione di conformità catastale e il titolo edilizio, l’atto resta valido. Tuttavia, possono sorgere conseguenze sul piano della responsabilità civile, a carico del venditore o, in alcuni casi, dei professionisti che hanno attestato la regolarità del bene.
La giurisprudenza distingue tra irregolarità note e ignote. Se l’acquirente scopre dopo il rogito una difformità non dichiarata, può agire per il risarcimento del danno o, nei casi più gravi, chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento. L’art. 1489 c.c. si applica anche quando la cosa venduta presenta oneri o vizi non apparenti che ne riducono il valore o l’utilizzo: la difformità catastale, specie se comporta costi di sanatoria o impedisce la commerciabilità futura, rientra in questa ipotesi.
Diverso è il caso delle difformità lievi o facilmente sanabili: l’acquirente può chiedere il rimborso delle spese di regolarizzazione, ma non la risoluzione, salvo che l’irregolarità renda impossibile l’uso promesso. L’azione si prescrive in dieci anni e decorre dal momento in cui la difformità viene scoperta.
Il principio generale resta quello di proporzionalità: più la difformità incide sull’utilizzo o sul valore, maggiore sarà la responsabilità del venditore. Per questo è sempre opportuno, anche dopo il rogito, verificare tempestivamente la regolarità catastale, così da valutare se la difformità possa essere sanata o se occorra intraprendere un’azione legale.
Conclusioni operative
Dalla giurisprudenza recente emerge una linea di equilibrio.
L’atto di compravendita è nullo soltanto quando mancano il titolo edilizio o la dichiarazione di conformità catastale.
È invece valido se le difformità sono secondarie o sanabili, anche quando comportano costi o formalità successive.
In questo caso, la tutela dell’acquirente passa dal piano della validità a quello della responsabilità.
Le parti possono gestire contrattualmente tali situazioni con clausole precise:
- descrivere le difformità note e la loro natura;
- indicare chi si farà carico delle spese di regolarizzazione;
- dichiarare che tali elementi sono stati considerati nella determinazione del prezzo.
In tal modo, l’atto resta valido, il venditore non rischia contestazioni e l’acquirente acquista con piena consapevolezza.
L’assistenza di un avvocato esperto in diritto immobiliare e di un tecnico di fiducia è la via più sicura per evitare contenziosi futuri e garantire la piena commerciabilità del bene.
Articolo redatto da Avv. Prof. Marco Ticozzi – Studio Legale a Padova, Mestre Venezia e Treviso.
FAQ su difformità catastale e atti immobiliari
1. Una difformità catastale rende sempre nullo il contratto?
No. Solo l’assenza del titolo edilizio o della dichiarazione di conformità comporta nullità. Le difformità minori non annullano l’atto.
2. Nel preliminare devo già sanare la difformità?
Non necessariamente: il preliminare ha effetti obbligatori, non reali. Tuttavia, la mancata regolarizzazione entro i termini può costituire inadempimento.
3. Il notaio può stipulare se sa che c’è una difformità?
Sì, se la difformità è minore e non incide sulla validità del titolo edilizio. Deve però ricevere la dichiarazione del venditore.
4. Posso chiedere un risarcimento se scopro dopo il rogito una difformità?
Sì, se la difformità non era nota o non era stata dichiarata e comporta costi o perdita di valore.
5. Una clausola di accettazione può coprire qualunque irregolarità?
No. È efficace solo per difformità lievi e sanabili; non può sanare la nullità derivante da mancanza di titolo edilizio.
6. Cosa posso fare se scopro una difformità catastale dopo il rogito?
Se la difformità non era dichiarata e comporta costi o limiti d’uso, puoi chiedere il risarcimento del danno o, nei casi più gravi, la risoluzione del contratto. Se invece è lieve o sanabile, l’atto resta valido.
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