1 marzo 2023
Sono diverse le motivazioni che possono portare un datore di lavoro, a prendere la decisione di licenziare un proprio dipendente. Una delle più dibattute è senza alcun dubbio, la motivazione legata al periodo di comporto, e nella fattispecie, al superamento di tale periodo. Nella sostanza un lavoratore non può essere licenziato, né durante né al termine di un periodo di malattia, se non per due ragioni immediatamente connesse alla malattia stessa:
- Il superamento del periodo di comporto fissato;
- Uno scarso rendimento sul lavoro che sia fonte di danno per il datore di lavoro.
Cosa si intende per periodo di comporto e cosa dispone la legge
Il Codice civile dispone, al secondo comma dell’articolo 2120 che la recessione del contratto di un lavoratore dipendente da parte del datore di lavoro o dell’imprenditore, può avvenire qualora l’assenza motivata da malattia, superi un certo periodo, definito come il periodo di comporto.
Tale periodo viene generalmente fissato dalla legge, stabilito dagli stessi contratti collettivi e talvolta anche dagli usi.
In particolare va detto che è quasi sempre la contrattazione collettiva a fissarne i termini, mentre la legge lo fa nel caso degli impiegati, stabilendo per essi un tempo di comporto pari a tre mesi, per un’anzianità di servizio non superiore ai dieci anni, e pari ai sei mesi qualora invece l’anzianità fosse superiore a tale limite.
Per quanto riguarda ciò che stabilisce la contrattazione collettiva, va sottolineato che il periodo di comporto fissato dai contratti, cresce all’aumentare degli anni di servizio e quindi in relazione all’anzianità, ed anche al crescere del grado di qualifica. Viene altresì prevista per i lavoratori, la possibilità di richiedere un periodo di aspettativa non retribuito.
Entrando maggiormente nel merito della tipologia di periodo di comporto prevista dai contratti collettivi, se ne distinguono sostanzialmente due:
- Comporto a secco: arco di tempo massimo relativo ai giorni di assenza consecutivi per malattia, da intendersi quindi, come un unico episodio di malattia;
- Comporto a sommatoria: somma del numero massimo di giorni di assenza per malattia, ripetuti in segmenti temporali diversi, da intendersi quindi, come pluralità di episodi di malattia.
Inoltre per la computazione del periodo di comporto, vengono presi in considerazione anche i giorni festivi, mentre non vengono conteggiati i giorni di assenza dovuti ad un’eventuale gravidanza e/o periodo di puerperio.
Tramite richiesta scritta presentabile entro i tempi di scadenza del periodo di comporto, il lavoratore ha diritto di chiedere che l’assenza per malattia, possa convertirsi in assenza per ferie. Il datore di lavoro può rifiutarsi di procedere nel caso in cui ciò implicasse danni organizzativi e produttivi all’azienda. Egli sarà tuttavia tenuto a dimostrare di aver comunque preso in considerazione il diritto fondamentale del lavoratore, circa la conservazione del proprio posto di lavoro.
Qualora il periodo di assenza per malattia dovesse superare il periodo di comporto stabilito, il datore di lavoro potrà licenziare il proprio dipendente, senza dare dimostrazione della presenza di giusta causa o giustificato motivo a supporto del licenziamento.
In buona sostanza infatti, il superamento del periodo di malattia consentito, costituisce di per sé, un valido motivo di licenziamento. Il datore di lavoro dovrà però comunicare la propria decisione rispettando il giusto tempo di preavviso, al fine di tutelare il lavoratore.
Nel caso in cui il mancato rispetto dei tempi previsti dal periodo di comporto, dovesse dipendere dall’ambiente nocivo che il lavoratore riscontra sul posto di lavoro, ed ancora, nel caso in cui ciò dovesse essere stata la causa primaria dell’insorgere della malattia del dipendente stesso, il datore di lavoro non potrà compiere alcun licenziamento.
Il superamento del periodo di comporto in tal caso infatti, non dipende esclusivamente dal lavoratore, ma ne sarà corresponsabile lo stesso datore di lavoro, in parte colpevole per non aver assunto un atteggiamento preventivo nei confronti del problema da un lato, e per non avervi trovato soluzione, dall’altro.
Dicasi lo stesso, nel caso in cui dovesse verificarsi un infortunio sul lavoro motivato dall’assenza di tutte quelle misure di sicurezza previste dalla legge, e nella circostanza, più rara, in cui il periodo di assenza per malattia, dovesse avere come causa una situazione di forte stress riconducibile ad atteggiamenti mobbizzanti subiti da colleghi e/o superiori.
In conclusione, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che non sia obbligatorio per il datore di lavoro, comunicare al lavoratore l’imminente superamento del periodo di comporto sebbene altre autorità di competenza ritengano invece che ciò sia necessario, anche in nome della correttezza e della fiducia posti alla base di un rapporto lavorativo. Va detto infine che nel caso di malattie di una certa gravità, il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare la conservazione del posto di lavoro del lavoratore malato che si assenti oltre il periodo di comporto.
I post più recenti
Richiedi una consulenza