Quando si verifica il licenziamento per troppe assenze?
Sono diverse le motivazioni che possono portare un datore di
lavoro, a prendere la decisione di licenziare
un proprio dipendente.
Una delle più dibattute è senza alcun dubbio, la motivazione legata al periodo di comporto,
e nella fattispecie, al superamento di tale periodo.
Nella sostanza un lavoratore non può essere licenziato, né durante né al termine di un periodo di malattia, se non per due ragioni immediatamente connesse alla malattia stessa:
- Il superamento del periodo di comporto fissato;
- Uno scarso rendimento sul lavoro che sia fonte di danno per il datore di lavoro.
Nel seguito vedremo in che modo tali aspetti vengano considerati
dalla legge, cosa dispone la stessa in merito, e come si definisce
correttamente il periodo di comporto.

Cosa si intende per periodo di comporto e cosa dispone la legge
Il Codice civile dispone, al secondo comma dell’articolo 2120 che la recessione del contratto di
un lavoratore dipendente da parte del datore di lavoro o dell’imprenditore, può
avvenire qualora l’assenza motivata da
malattia, superi un certo periodo, definito come il periodo di comporto.
Tale periodo viene generalmente fissato dalla legge,
stabilito dagli stessi contratti
collettivi e talvolta anche dagli usi.
In particolare va detto che è quasi sempre la contrattazione collettiva a fissarne i
termini, mentre la legge lo fa nel caso degli impiegati, stabilendo per
essi un tempo di comporto pari a tre mesi, per un’anzianità di servizio non
superiore ai dieci anni, e pari ai sei mesi qualora invece l’anzianità fosse
superiore a tale limite.
Per quanto riguarda ciò che stabilisce la contrattazione
collettiva, va sottolineato che il periodo di comporto fissato dai contratti, cresce all’aumentare degli anni di servizio
e quindi in relazione all’anzianità, ed anche al crescere del grado di
qualifica. Viene altresì prevista per i lavoratori, la possibilità di
richiedere un periodo di aspettativa non retribuito.
Entrando maggiormente nel merito della tipologia di periodo di comporto prevista dai contratti collettivi, se ne distinguono sostanzialmente due:
- Comporto a secco: arco di tempo massimo relativo ai giorni di assenza consecutivi per malattia, da intendersi quindi, come un unico episodio di malattia;
- Comporto a sommatoria: somma del numero massimo di giorni di assenza per malattia, ripetuti in segmenti temporali diversi, da intendersi quindi, come pluralità di episodi di malattia.
Inoltre per la computazione del periodo di comporto, vengono presi in considerazione anche i giorni festivi, mentre non vengono conteggiati i giorni di assenza dovuti ad un’eventuale gravidanza e/o periodo di puerperio.
Tramite richiesta scritta presentabile entro i tempi di
scadenza del periodo di comporto, il lavoratore ha diritto di chiedere che
l’assenza per malattia, possa convertirsi in assenza per ferie. Il datore di
lavoro può rifiutarsi di procedere nel caso in cui ciò implicasse danni
organizzativi e produttivi all’azienda. Egli sarà tuttavia tenuto a dimostrare
di aver comunque preso in considerazione il
diritto fondamentale del lavoratore, circa la conservazione del proprio
posto di lavoro.
Qualora il periodo di
assenza per malattia dovesse superare il periodo di comporto stabilito, il
datore di lavoro potrà licenziare il proprio dipendente, senza dare
dimostrazione della presenza di giusta causa o giustificato motivo a supporto
del licenziamento.
In buona sostanza infatti, il superamento del periodo di malattia consentito, costituisce di per
sé, un valido motivo di
licenziamento. Il datore di lavoro
dovrà però comunicare la propria decisione rispettando il giusto tempo di
preavviso, al fine di tutelare il lavoratore.
Nel caso in cui il mancato rispetto dei tempi previsti dal
periodo di comporto, dovesse dipendere dall’ambiente nocivo che il lavoratore riscontra sul posto di lavoro, ed
ancora, nel caso in cui ciò dovesse essere stata la causa primaria dell’insorgere
della malattia del dipendente stesso, il datore di lavoro non potrà compiere
alcun licenziamento.
Il superamento del periodo di comporto in tal caso infatti,
non dipende esclusivamente dal lavoratore, ma ne sarà corresponsabile lo stesso datore di lavoro, in parte colpevole per
non aver assunto un atteggiamento preventivo nei confronti del problema da un
lato, e per non avervi trovato soluzione, dall’altro.
Dicasi lo stesso, nel caso in cui dovesse verificarsi un infortunio sul lavoro motivato
dall’assenza di tutte quelle misure di sicurezza previste dalla legge, e nella
circostanza, più rara, in cui il periodo di assenza per malattia, dovesse avere
come causa una situazione di forte stress riconducibile ad atteggiamenti
mobbizzanti subiti da colleghi e/o superiori.
In conclusione, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che non sia obbligatorio per il datore di
lavoro, comunicare al lavoratore l’imminente superamento del periodo di
comporto sebbene altre autorità di competenza ritengano invece che ciò sia
necessario, anche in nome della correttezza e della fiducia posti alla base di
un rapporto lavorativo. Va detto infine che nel caso di malattie di una certa
gravità, il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare la conservazione del
posto di lavoro del lavoratore malato che si assenti oltre il periodo di
comporto.