5 giugno 2023
Fido di fatto: serve la forma scritta? Una delle questioni che spesso rilevano nei contenziosi bancari è quella della forma del contratto fido, che poi rileva anche per quella concernente il fido di fatto. Un fido esiste solo se vi è un contratto scritto oppure si può ritenere giuridicamente rilevante anche solo un fido di fatto? La questione è stata affrontata dalla recente sentenza Cass. 12 maggio 2023, n. 13063: vediamo cosa indica
Fido forma scritta: possibile un affidamento anche solo di fatto?
Cass. 12 maggio 2023, n. 13063, sul fido di fatto e la forma scritta, evidenzia vari aspetti e in particolare che:
ai sensi della legge n. 385 del 1993, articolo 117, commi 1 e 3, i contratti devono essere redatti per iscritto e una copia deve essere consegnata ai clienti. In caso di mancata osservanza di tale forma prescritta, il contratto è considerato nullo. Inoltre, il comma 2 della stessa disposizione consente al C.I.C.R. di stabilire, tramite norme di rango secondario, che determinati contratti possano essere stipulati in una forma diversa da quella scritta per ragioni tecniche motivate;
in altre sentenze di Cassazione è stato chiarito che, ai sensi della Deliberazione C.I.C.R. del 4 marzo 2003, il contratto di apertura di credito non deve essere redatto per iscritto se è già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto. Questo principio non significa che la forma scritta sia completamente eliminata, ma rappresenta una mitigazione relativa che garantisce l'indicazione delle condizioni economiche nel contratto principale per il contratto di apertura di credito.
Nel caso in esame nella sentenza Cass. 12 maggio 2023, n. 13063, sul fido di fatto e la forma scritta la questione della regolamentazione sostanziale dell'affidamento nel contratto di conto corrente non era stata trattata, pertanto si deve ritenere che il contratto di apertura del fido fosse soggetto al requisito formale completo richiesto dall'articolo 117 del Testo Unico Bancario. Di conseguenza, la Banca avrebbe dovuto dimostrare l'affidamento dedotto esclusivamente attraverso la produzione della relativa scrittura. Non è sufficiente che l'affidamento risulti dal libro fidi o che il suo contenuto possa essere eventualmente ricostruito tramite la semplice menzione nel report della Centrale Rischi.
Dunque, per la sentenza Cass. 12 maggio 2023, n. 13063, sul fido di fatto e la forma scritta la regola generale è che il fido deve risultare da un contratto con forma scritta, ponendo attenuarsi la previsione ove il contratto di conto corrente contenga già la previsione di un eventuale fido indicandone le condizioni: la sentenza indica in particolare che “il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere stipulato per iscritto a pena di nullità (cfr. Cass. 2017, n. 7763), principio, questo, da intendere nel senso che l'intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l'indicazione nel "contratto madre" delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il "contratto figlio".
Ma quando è possibile questa attenuazione della rigidità della previsione sulla forma scritta del contratto di fido? E quando è possibile allora valorizzare un fido di fatto?
Fido di fatto: serve la forma scritta?
Per rispondere in modo più preciso a queste domande dobbiamo risalite a un altro precedente: quello di Cass. 22 novembre 2017, n. 27836, sempre sulla questione del fido di fatto e della forma scritta dell’affidamento.
Quest’ultima sentenza ricorda che in materia di disciplina della forma dei contratti bancari, la L. n. 154 del 1992, art. 3, comma 3, e, successivamente, l'art. 117, comma 2, t.u.l.b., nella parte in cui dispongono che il C.I.C.R. può prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, possono essere stipulati in forma diversa da quella scritta.
Ma quando ed entro che limiti?
Cass. 22 novembre 2017, n. 27836, sulla questione del fido di fatto e della forma scritta dell’affidamento, indica che “l'intento di agevolare "particolari modalità della contrattazione" non (può) comportare - in una equilibrata visione degli interessi in campo (...) - una "radicale" soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi (..) la necessaria indicazione delle condizioni economiche del contratto ospitato”.
Nel caso all’esame di Cass. 22 novembre 2017, n. 27836, sempre sulla questione del fido di fatto e della forma scritta dell’affidamento, la Banca aveva allegato un testo contrattuale dalla lettura del quale non emerge alcun regolamento economico dell'ipotetico contratto di apertura di credito, ivi previsto solo come possibile, se non l'indicazione di condizioni quadro, generali ed astratte, che la Banca s'impegnava a seguire (ed il cliente a osservare) in caso di stipula di un'apertura di credito successiva con C lo stesso sottoscrittore del conto corrente bancario.
Quando è ipotizzabile un fido di fatto senza contratto con forma scritta?
Dunque, un fido di fatto può essere valorizzato solo se dal contratto di conto corrente risulta non solo che le parti avevano ipotizzato di concludere un futuro contratto di fido ma ne abbiano anche predeterminato le condizioni economiche. Anche se le sentenze non lo indicano, solo in questo caso si può ipotizzare di considerare valido ed esistente un contratto di fido non formalizzato con uno specifico documento contrattuale.
Quando, invece, non vi sia neppure una preventiva approvazione delle condizioni economiche del contratto di fido, non vi sarebbe alcuno spazio di dare rilievo giuridico a unfido di fatto, anche se risultante dal libro fidi o dalla Centrale Rischi.
Sul punto Corte d'Appello di Venezia 19 giugno 2019 n. 2555
Sulla questione della forma scritta del contratto di fido e su quella del rilievo del fido di fatto, ricordiamo anche la sentenza Corte d'Appello di Venezia 19 giugno 2019 n. 2555, già oggetto di un altro nostro articolo.
In quella sentenza, si evidenziava che la curatela fallimentare sosteneva che il Tribunale aveva commesso un errore nel dichiarare prescritto il diritto di ripetere i pagamenti indebiti eseguiti sul conto corrente prima del 25 marzo 2000. Affermava che c’erano state diverse linee di credito sui conti correnti, come risultava dagli estratti conto, e contestava la necessità di un contratto scritto per provare l'esistenza dell'apertura di credito, sostenendo che la Banca ha concesso un fido di fatto.
Tuttavia, il motivo è stato ritenuto infondato. La Corte, nella sentenza sulla questione della forma scritta del contratto di fido e su quella del rilievo del fido di fatto, ha indicato che l'appellante non ha contestato il punto fondamentale su cui il tribunale ha basato la propria decisione, ovvero che i contratti di conto corrente non disciplinano in modo completo le aperture di credito e le relative condizioni economiche come richiesto dall'articolo 117, comma 1, del Testo Unico Bancario, sia per la validità del contratto che a fini probatori.
Per questa ragione la Corte d’Appello di Venezia, sulla questione della forma scritta del contratto di fido e su quella del rilievo del fido di fatto, ha ritenuto che il requisito formale impediva di considerare rilevanti gli affidamenti di fatto.
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