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Responsabilità Indiretta: cos'è e come funziona?

19 ottobre 2023

L'articolo esplora il concetto di responsabilità indiretta, che si manifesta quando un soggetto viene ritenuto responsabile per un illecito anche se non ha commesso direttamente l'atto. Questo tipo di responsabilità nasce dal dovere di vigilanza o controllo che alcune figure possono avere in determinate situazioni, come ad esempio un datore di lavoro riguardo ai suoi dipendenti o un genitore in relazione alle azioni di un figlio minore. L'articolo analizza tre principali ambiti in cui la responsabilità indiretta trova applicazione: il danno cagionato dall’incapace, la responsabilità indiretta dei Genitori, Tutori, Precettori e Maestri d'Arte e, infine, la responsabilità indiretta dei padroni e dei committenti.

Responsabilità Indiretta
Responsabilità Indiretta: cos'è e come funziona?

Responsabilità Indiretta: introduzione

Il concetto di responsabilità indiretta è radicato nel desiderio della società di assicurare che vengano soddisfatte le esigenze di giustizia, proteggendo i diritti delle vittime anche quando l'illecito non è stato commesso direttamente dal soggetto chiamato a rispondere. Si tratta di una forma avanzata di tutela, in cui la legge estende l'ombra della responsabilità oltre la sfera d'azione immediata di un individuo.

Alla base della responsabilità indiretta si trova l'idea che certe persone o entità, date le loro posizioni o relazioni con altri, dovrebbero avere un dovere di vigilanza o di controllo. Questo può tradursi, ad esempio, nella responsabilità di un datore di lavoro per le azioni dei suoi dipendenti, o di un genitore per le azioni di un figlio minore.

Tuttavia, le modalità con cui questa responsabilità si manifesta possono variare notevolmente. In alcuni scenari, il soggetto 'terzo' potrebbe essere ritenuto l'unico responsabile, assumendo tutto l'onere della riparazione, magari a causa della sua posizione privilegiata o capacità di prevenire l'illecito. In altri casi, la legge potrebbe considerare sia il diretto autore dell'illecito sia il terzo responsabile in modo congiunto, riconoscendo una condivisione di colpevolezza.

Questo intreccio di dinamiche rende il campo della responsabilità indiretta particolarmente intrigante e sfaccettato. Essa pone domande essenziali sulla natura della colpevolezza, sui limiti del controllo e sulla portata delle relazioni umane nel contesto legale.

Il danno cagionato dall’incapace

L'ambito della responsabilità civile si arricchisce di sfumature e specificità quando si tratta di danni causati da soggetti incapaci di intendere e di volere. L'art. 2047 del codice civile fornisce chiarimenti in merito, stabilendo che in tali circostanze, il risarcimento è a carico di chi ha il dovere di sorveglianza sull'incapace, a meno che non dimostri di non aver avuto la possibilità di prevenire il fatto dannoso.

Questa normativa distingue nettamente tra la responsabilità indiretta di genitori, tutori e insegnanti - prevista dall'art. 2048 e applicabile ai minori che hanno capacità di intendere e volere - e la responsabilità di chi sorveglia persone completamente incapaci di intendere e di volere. La distinzione è cruciale: mentre nel primo caso, la responsabilità indiretta si fonda sulla capacità del minore di comprendere e volere, nel secondo si basa esclusivamente sulla posizione di chi ha l'obbligo di sorveglianza.

Non si tratta, dunque, di una presunzione automatica di colpa, ma piuttosto di un equilibrato sistema di distribuzione dell'onere della prova tra le parti coinvolte. La vittima deve dimostrare che il danno è stato causato da un incapace; al contrario, il sorvegliante ha l'onere di dimostrare di non aver avuto la possibilità di impedire l'evento dannoso.

Una particolarità di questa normativa riguarda l'identificazione del sorvegliante, che può essere un individuo legato all'incapace per ragioni professionali, contrattuali o per altri motivi che ne definiscono una responsabilità di custodia. Va sottolineato che la legge è molto restrittiva e non ammette estensioni ad altri soggetti, a meno che non emerga un obbligo di sorveglianza derivante da una situazione di fatto esternamente riconoscibile.

Una volta verificatosi il danno, e stabilito il rapporto di sorveglianza, per esonerarsi da responsabilità indiretta, il sorvegliante deve comprovare di non aver contribuito, direttamente o indirettamente, alla creazione di situazioni rischiose che abbiano facilitato l'atto dannoso.

La responsabilità indiretta dei Genitori, Tutori, Precettori e Maestri d'Arte

L'art. 2048 del Codice Civile italiano disciplina la responsabilità indiretta di determinati soggetti, tra cui genitori, tutori, precettori e maestri d'arte, nei confronti dei danni causati da minori o soggetti sotto la loro vigilanza. Questa responsabilità si configura quando il minore è capace di intendere e di volere e, pertanto, è direttamente imputabile del fatto dannoso. In tale circostanza, i genitori o gli altri soggetti sopracitati sono tenuti a rispondere solidalmente con il minore stesso, configurando una doppia linea di responsabilità che serve a garantire un adeguato risarcimento alla vittima.

Tuttavia, la giurisprudenza ha ulteriormente chiarito i contorni di questa responsabilità indiretta. Sebbene l'art. 2048 parli di una responsabilità diretta dei genitori, questi possono esimersi dimostrando di aver vigilato correttamente sul minore e di aver fornito un'educazione idonea, in linea con le condizioni socio-familiari. Il focus, dunque, si sposta sull'intero sistema educativo adottato e sulla sua efficacia nell'indirizzare il comportamento del minore.

Diversamente, i precettori – categoria che include figure come insegnanti, istruttori sportivi e altri responsabili di minori in contesti specifici – rispondono del fatto illecito del minore solo nel periodo in cui questo è sotto la loro vigilanza diretta. Tale periodo si estende oltre le semplici ore di lezione, comprendendo momenti come le ricreazioni, le gite scolastiche e qualsiasi altro contesto legato all'attività educativa. La loro responsabilità indiretta è ancorata al dovere di vigilanza e varia in base all'età dei minori: maggiore per gli allievi delle scuole elementari, meno stringente per quelli delle scuole superiori. Il precettore può escludere la sua responsabilità dimostrando di essere stato presente e di non aver potuto impedire l'evento dannoso o, in caso di assenza, che tale assenza era giustificata e che ha predisposto adeguati sostituti.

In conclusione, l'art. 2048 cc intende proteggere i terzi dai danni causati dai minori, stabilendo una responsabilità solidale tra il minore e chi ne ha la vigilanza, che sia per ragioni familiari o professionali. La norma riconosce, però, la possibilità per questi soggetti di liberarsi da tale responsabilità indiretta, a patto di dimostrare di aver adempiuto correttamente ai loro doveri di educazione e vigilanza.

La responsabilità indiretta dei padroni e dei committenti ex art. 2049 cc

L'articolo 2049 del codice civile italiano pone sotto la lente d'ingrandimento la delicata tematica della responsabilità legale dei padroni e dei committenti. Questo articolo stabilisce che, qualora si verifichi un danno a terzi a seguito di un comportamento illecito da parte dei loro domestici o dipendenti durante l'esecuzione delle mansioni loro assegnate, è il padrone o il committente ad essere chiamato a rispondere. Ci troviamo, pertanto, di fronte ad un meccanismo di responsabilità indiretta, un principio che attribuisce onere e responsabilità al datore di lavoro o al committente, anche se non direttamente coinvolto nell'azione illecita. L'importanza di questa norma risiede nel fatto che essa non concede al preponente (il padrone o committente) la possibilità di escludere o attenuare la propria responsabilità indiretta presentando prove liberatorie. Questo amplia significativamente l'ambito di tutela per le potenziali vittime di atti illeciti, garantendo che ci sia sempre una figura responsabile e in grado di risarcire il danno subito, indipendentemente dalla diretta colpevolezza o meno del padrone o del committente nell'azione illecita commessa dal proprio subordinato.

La norma usa termini arcaici, come "padrone" e "domestico" oppure "committente" e "commesso", che, pur rispecchiando la storicità del codice, rendono complessa la sua attuale applicazione. Infatti, la terminologia utilizzata evita un collegamento diretto con i moderni rapporti giuridici lavorativi. Di conseguenza, in ambito giurisprudenziale e dottrinale, spesso si preferisce utilizzare espressioni come "rapporto di preposizione" o "rapporto institorio" per definire la connessione tra chi commette l'illecito e chi ne risponde.

Questo rapporto di preposizione trova la sua principale espressione nel contesto del lavoro subordinato. Tuttavia, recenti interpretazioni tendono a estendere l'applicabilità dell'art. 2049 anche a situazioni che non sottendono una pura e semplice subordinazione, dando rilevanza piuttosto all'effettuale esistenza di un legame in cui un individuo agisce per conto e sotto la supervisione di un altro. La natura di questo legame viene delineata considerando vari fattori, come l'incarico ricevuto, il livello di subordinazione e l'attività svolta nell'interesse del "preponente".

Un elemento cardine per stabilire la presenza di questo rapporto è l'atto di volontà del committente, che deve manifestare la chiara intenzione che l'azione sia compiuta per suo conto. La semplice gestione di affari da parte del soggetto non è sufficiente a stabilire una preposizione se non vi è una chiara direttiva da parte del committente.

Un ulteriore aspetto cruciale è il potere di "direzione e sorveglianza" esercitato dal committente sul preposto. Questo potere non deve necessariamente essere esercitato in concreto, ma basta la sua astratta esistenza per sancire la responsabilità indiretta.

Il Rapporto tra Preponente e Preposto: Limiti e Condizioni della Responsabilità

L'analisi della responsabilità indiretta dei preponenti rispetto alle azioni dei loro preposti rappresenta una questione di cruciale importanza in ambito legale. Esaminando le sfumature di questa responsabilità, è chiaro che il legame tra il comportamento illecito del dipendente e le mansioni a lui affidate svolge un ruolo cardine.

Il preponente diventa responsabile non solo quando esiste un nesso causale diretto tra l'atto illecito e le funzioni delegate al preposto, ma anche quando, benché in modo indiretto, le mansioni affidate abbiano reso possibile o favorito l'evento dannoso. Questa correlazione è considerata sufficiente anche quando si basa su una mera "occasionalità necessaria", una circostanza in cui l'atto illecito si manifesta a causa della natura o delle circostanze delle mansioni stesse.

Tuttavia, esistono chiare eccezioni a questa regola. Ad esempio, se l'azione dannosa scaturisce dall'attività personale e autonoma del preposto, slegata dalle sue funzioni professionali, la responsabilità indiretta del preponente viene esclusa. Il confine tra responsabilità e autonomia personale del preposto è oggetto di ampia riflessione giuridica, con alcuni autori che sottolineano la necessità di verificare se l'illecito sia una conseguenza inevitabile delle mansioni affidate.

La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha chiarito ulteriormente questo concetto. Il dolo del dipendente, ad esempio, non preclude automaticamente la responsabilità indiretta del preponente, se il comportamento illecito mantiene un legame con le funzioni delegate. La chiave sta nel determinare se l'azione del dipendente sia stata intrapresa nell'interesse del preponente o per finalità personali.

Un ulteriore aspetto da considerare riguarda il carattere ripetitivo di certe mansioni, che può condurre a disattenzioni o errori da parte dei dipendenti. Tali errori non sono necessariamente frutto di negligenza, ma possono scaturire dalla routine e dalla meccanicità del compito. Ciò che risulta essenziale, in queste situazioni, non è tanto la natura colposa dell'errore, ma piuttosto il legame tra l'errore stesso e le mansioni regolarmente svolte dal dipendente.

La responsabilità indiretta del datore di lavoro e la rivalsa

Nel contesto delle responsabilità derivanti da atti illeciti, emerge un meccanismo di solidarietà tra il preponente (ad esempio un datore di lavoro) e il suo dipendente. Tale solidarietà è innescata quando si verifica un danno causato dal dipendente nell'ambito delle sue funzioni, come delineato dall'art. 2043. In pratica, se il preponente risarcisce la vittima, ha il diritto di richiedere al dipendente il rimborso dell'intera somma versata.

Ciononostante, esistono eccezioni a questa regola. Ad esempio, se un accordo contrattuale (ad esempio i contratti collettivi) prevede l'assenza di diritti di regresso da parte del preponente, questi non può rivalersi sul dipendente.

Ulteriori complicazioni emergono quando il dipendente compie un atto illecito in collaborazione con altre persone. In questo scenario, il preponente, dopo aver risarcito la vittima, può richiedere un rimborso solo proporzionalmente alla gravità della colpa di ciascun autore del danno. Se non è chiaro chi abbia avuto la maggiore responsabilità, si presume una colpa equamente distribuita tra i responsabili.

In conclusione, la dinamica tra preponente e dipendente in relazione alla responsabilità indiretta e al diritto di regresso è articolata e dipende da variabili come accordi contrattuali, gradi di colpevolezza e la natura del danno causato. È essenziale per le parti coinvolte comprendere queste sfaccettature al fine di navigare correttamente il contesto legale.

Marco Ticozzi Avvocato Venezia

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