Danno ambientale: definizione e risarcimento
In cosa consiste il danno ambientale?
La definizione di danno ambientale può essere così espressa: si tratta di ogni deterioramento significativo e misurabile, sia diretto che indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima.
La complessità del danno ambientale si articola in una triplice dimensione: quella pubblica, legata all'esigenza pubblica di prevenire e rimediare al danno ambientale che si sia manifestato su beni sia pubblici che privati; quella personale, che incide direttamente sugli individui che subiscono un pregiudizio personale (ai propri beni o alla propria salute); e quella sociale, che riflette l'impatto sulla comunità nel suo complesso e ai collegati interessi diffusi.
Il presente articolo mira a esaminare la definizione e le norme che disciplinano il risarcimento del danno ambientale, analizzando le disposizioni che regolamentano sia la riparazione in forma generica, che riconosce un danno quando non è possibile un risarcimento "in natura", sia quella specifica, che si concretizza nel ripristino dello stato dei luoghi o nell'implementazione di misure compensative dirette.
Saranno inoltre approfondite le diverse facce della riparazione del danno ambientale come delineate nel Codice dell'Ambiente, inclusi gli aspetti legati alla riparazione primaria, complementare e compensativa, nonché le procedure transattive amministrative e i meccanismi di garanzia e monitoraggio previsti per assicurare la loro efficacia.

La triplice dimensione del danno ambientale
Il danno ambientale è un
tema che abbraccia più campi del diritto e può essere esaminato da diversi
profili. Ha, quindi, una triplice dimensione: pubblica, personale e sociale.
In primo luogo, la
dimensione pubblica si evince dal ruolo dello Stato e delle sue articolazioni -
regionali, provinciali e comunali - nella tutela dell'ambiente quale bene
pubblico e della collettività.
Qui, il danno
all'ambiente non è solo una lesione alla natura in sé, ma un'infrazione ai
diritti della collettività che lo Stato è chiamato a difendere e preservare.
Tale prospettiva giuridica postula che il bene ambiente trascenda il valore
immediato per gli individui e si configuri come un interesse superiore,
garantito e tutelato dall'azione normativa e dall'intervento giurisdizionale
dello Stato. Non solo lo Stato ha interesse di tutelare i beni pubblici ma
anche di evitare che i beni privati restino ad esempio inquinati: un danno
ambientale a un bene privato lede non solo quel bene in sé ma l’ambiente in
senso ampio; inoltre, un danno ambientale in un’area privata può costituire un
pericolo anche per terzi, ad esempio per i danni ai terreni confinanti o alle
falde acquifere che una sostanza inquinante può provocare.
La dimensione pubblica
del danno ambientale, quindi, si riferisce alle norme di diritto pubblico che
coinvolgono le azioni che lo Stato attua per ottenere il risarcimento del danno
ambientale in forma specifica o generica.
Nella sua dimensione
personale, il danno ambientale assume un profilo individualistico, attenendosi
alla lesione del diritto soggettivo del singolo a vivere in un ambiente salubre
o a non veder lesi i propri beni o la propria integrità fisica.
Pertanto, ogni cittadino
che subisca un pregiudizio ai propri diritti soggettivi ha il diritto di agire
a tutela dei propri interessi.
La terza dimensione è
quella sociale, che prende in considerazione la lesione dell'ambiente come
interesse diffuso o diritto collettivo.
Il risarcimento del danno ambientale e la tutela degli interessi diffusi
L'interesse diffuso è un
concetto giuridico che si colloca nel più ampio ambito dei diritti collettivi.
A differenza degli interessi collettivi tradizionali, che riguardano gruppi
specifici e definiti di persone (come i lavoratori di una certa categoria per i
loro diritti lavorativi), gli interessi diffusi si riferiscono a beni o valori
che sono di pertinenza di una collettività indistinta e variabile di persone,
unita dal comune interesse verso un bene la cui fruizione è aperta a tutti.
Nel diritto ambientale,
ad esempio, si parla di interesse diffuso per riferirsi alla tutela
dell'ambiente, un bene di cui tutti possono godere e che tutti hanno il dovere
di conservare per le generazioni future. Gli interessi diffusi includono la
qualità dell'aria, l'integrità degli ecosistemi, la sicurezza del territorio e
la conservazione del patrimonio artistico e culturale.
La tutela degli interessi
diffusi rappresenta una sfida per il sistema giuridico, poiché spesso mancano
titolari diretti e definiti che possono agire in giudizio per la loro difesa.
Per questo motivo, le legislazioni nazionali e le normative internazionali
hanno introdotto meccanismi che permettono alle associazioni ambientaliste e ad
altri soggetti collettivi di rappresentare e difendere questi interessi in
giudizio, spesso attraverso azioni collettive o class actions.
Tale prospettiva
riconosce nel danno ambientale una violazione che travalica l'interesse
personale, toccando le sfere della collettività e dell'interesse generale:
talvolta possono esserci situazioni che non raggiungono per il singolo la
soglia del diritto soggettivo (di una lesione che faccia sorgere il diritto al
risarcimento del danno) ma che rilevano per una pluralità di soggetti che si
trovano in una certa situazione: gli abitanti di un’area in cui ci può essere
un inquinamento astrattamente pericoloso, gli abitanti di un’area nella quale
si intende costruire una discarica, ecc.
In questa ottica, si
legittimano anche le associazioni ambientaliste ad agire come portavoce degli
interessi collettivi. Sebbene sia stata eliminata la possibilità per queste
entità di agire in sostituzione processuale degli enti pubblici, esse
mantengono il diritto di impugnare atti amministrativi, intervenire nei giudizi
di danno ambientale, nonché di fare denunce o segnalazioni che attivano i
poteri dell'Amministrazione Pubblica. Ciò è rilevante perché sottolinea una
ridotta, ma significativa, capacità di influenza sul processo di tutela ambientale,
circoscrivendo l'azione diretta a determinate forme di partecipazione e
controllo, ora principalmente prerogativa del Ministero.
In conclusione, il danno
ambientale, nella sua multiforme manifestazione, solleva questioni giuridiche
di rilevante complessità e di grande impatto sociale. Le dimensioni pubblica,
personale e sociale s'intrecciano nel definire un'area del diritto che, più di
altre, risente della necessità di un equilibrio tra diritti individuali e
collettivi, tra protezione dell'interesse comune e tutela dei singoli, un
equilibrio che è in continua evoluzione e che richiede un'attenzione normativa
e giurisprudenziale costante.
La tutela dei diritti soggettivi dei singoli
La tutela risarcitoria
del singolo nei casi di danno ambientale può essere articolata attraverso due
principali strumenti del diritto civile italiano: l'articolo 844 del codice
civile, relativo alle immissioni, e l'articolo 2043, che concerne il risarcimento
dei danni in senso più ampio.
L'articolo 844 del codice
civile offre al singolo un'azione di tutela specifica contro le immissioni
(emissioni di fumo, calore, rumore, vibrazioni, ecc.) che superino la normale
tollerabilità. La "normale tollerabilità" rappresenta un concetto
giuridico che viene valutato in maniera discrezionale dal giudice, tenendo
conto del contesto e delle circostanze specifiche, come la localizzazione
dell'immobile e l'uso che se ne fa. Secondo questa norma, il singolo ha diritto
ad agire anche se le immissioni non creano danni alla salute, ma causano
fastidi o disturbi (come rumori e odori). È importante notare che, mentre le
norme amministrative possono stabilire dei limiti per determinate emissioni,
civilisticamente il singolo non è obbligato a sopportarle qualora superino la
soglia di tollerabilità normale, anche in assenza di una violazione
amministrativa.
Per quanto riguarda
l'articolo 2043 del codice civile, esso prevede la possibilità di agire per
ottenere il risarcimento per qualsiasi danno ingiusto, indipendentemente dalla
sua tollerabilità. In questo caso, però, è necessario che si verifichi un danno
concreto e ingiusto al soggetto; pertanto, se non c'è un effettivo danno alla
salute, la tutela non può essere invocata. Tuttavia, qualora sussista un
rischio per la salute, il singolo può richiedere misure cautelari urgenti (ex
art. 700 c.p.c.) per prevenire un potenziale danno.
In conclusione, sia
l'articolo 844 che l'articolo 2043 codice civile forniscono al singolo
strumenti per la tutela dei propri diritti in caso di danni ambientali. Il
primo si concentra su situazioni in cui le immissioni eccedono la normale
tollerabilità e possono includere danni non strettamente legati alla salute,
mentre il secondo consente il risarcimento per danni ingiusti e concreti, con
un'attenzione specifica alle conseguenze lesive per la persona.
La dimensione pubblica del danno ambientale
La dimensione pubblica
del danno ambientale si inscrive nell'ambito della responsabilità civile
ambientale, definendo l'insieme delle regole e dei principi attraverso i quali
lo Stato interviene per prevenire e riparare i danni all'ambiente, anche quando
questi coinvolgono proprietà private. Questa dimensione pubblica è espressione
del principio secondo cui l'ambiente, come bene comune, deve essere protetto
non solo per l'uso e il godimento delle attuali generazioni, ma anche
salvaguardato per quelle future. Gli strumenti giuridici di questa tutela si
concretizzano in una serie di azioni che lo Stato, o entità da esso delegate,
possono intraprendere al fine di assicurare che eventuali danni ambientali
siano prontamente affrontati e, ove possibile, sanati.
Tra le azioni previste vi
è la reintegrazione in forma specifica, che consiste nel ripristinare lo stato
dei luoghi attraverso azioni dirette, come la bonifica o il rimboschimento.
Tale intervento ha come obiettivo la restituzione dell'integrità originaria
dell'ambiente danneggiato. Tuttavia, quando la reintegrazione in forma
specifica non è possibile, si ricorre alla reintegrazione in forma generica,
vale a dire un risarcimento monetario che deve essere poi utilizzato per il
ripristino dell'ambiente o, qualora ciò non fosse fattibile, per migliorare la
situazione ambientale in altri contesti.
La definizione di danno ambientale contenuta nel codice dell’ambiente
L'articolo 300 del Codice
dell'ambiente fornisce la definizione giuridica di danno ambientale, delineando
i confini entro cui si configura tale danno. In particolare, si considera
"danno ambientale" qualsiasi deterioramento significativo e misurabile,
sia diretto che indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da
quest'ultima. Questa definizione abbraccia un'ampia gamma di possibili lesioni
all'ambiente, sottolineando non solo l'impatto diretto sulle risorse naturali,
ma anche le conseguenze indirette che possono emergere nel tempo e incidere
sull'utilità che tali risorse forniscono agli ecosistemi e alla società.
Il deterioramento deve
essere valutato rispetto alle condizioni originarie, considerando l'ambiente
nella sua condizione incontaminata o non alterata dalle attività umane. Il
danno ambientale si concretizza nei seguenti ambiti:
- a) Alle specie e agli
habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria. Questo
comprende non solo la distruzione fisica di habitat e specie, ma anche il
degrado che può compromettere la loro conservazione o il loro normale sviluppo.
- b) Alle acque interne,
come fiumi, laghi e falde acquifere, mediante azioni che incidano in modo
significativamente negativo. Tale danno può derivare da sversamenti,
contaminazioni chimiche, o altre forme di inquinamento che alterino la qualità
dell'acqua e la rendano meno adatta alla vita acquatica o all'uso da parte
degli esseri umani.
- c) Alle acque costiere ed
a quelle ricomprese nel mare territoriale. In questi casi, si considera danno
ambientale il degrado dell'acqua marina in termini di qualità chimica o
biologica, che può avere ripercussioni sulla biodiversità marina e sulle attività
economiche come la pesca e il turismo.
- d) Al terreno, tramite
qualsiasi forma di contaminazione che presenti un rischio significativo di
effetti nocivi sulla salute umana. La contaminazione può essere causata
dall'introduzione nel suolo di sostanze tossiche, organismi nocivi o altri
inquinanti che, attraverso la catena alimentare o il contatto diretto, possono
rappresentare un pericolo per l'uomo.
In conclusione, la
definizione di danno ambientale secondo l'articolo 300 del Codice dell'ambiente
è comprensiva di una varietà di scenari in cui l'integrità delle risorse
naturali viene compromessa. Si riconosce l'importanza di tutelare l'ambiente in
tutte le sue forme e si stabiliscono le basi per le azioni di riparazione e
prevenzione da parte di entità private e pubbliche.
Chi risponde del risarcimento del danno ambientale?
La questione di chi debba
rispondere del danno ambientale trova una risposta chiara nella regola
"chi inquina paga", un principio cardine nel diritto ambientale che
pone l'onere di pagare per i danni, o di provvedere alla loro bonifica, sulle spalle
del responsabile o dei responsabili dell'inquinamento. La funzione di questo
principio non è meramente punitiva; ha infatti l'obiettivo di incentivare gli
operatori economici e i soggetti privati a intraprendere tutte quelle misure
preventive e pratiche che possano minimizzare i rischi di danno all'ambiente.
La solidarietà tra i
responsabili è un concetto fondamentale in questo contesto. Quando il danno
ambientale è il risultato dell'azione congiunta di più soggetti, questi ultimi
rispondono in via solidale. Ciò significa che ciascun responsabile può essere chiamato
a risarcire l'intero danno. Tuttavia, colui che effettua il pagamento ha il
diritto di regresso, ossia può rivolgersi agli altri co-responsabili per
ottenere la restituzione della quota di danno che ciascuno di essi dovrebbe
equamente sopportare, proporzionalmente al loro contributo causale nel
verificarsi del danno.
Tale principio di
solidarietà ha una duplice funzione: da un lato, assicura che il danno
ambientale venga risarcito senza ritardi causati da dispute sulla ripartizione
della responsabilità; dall'altro, garantisce un meccanismo interno tra i
responsabili per distribuire equamente l'onere economico del danno.
Vi sono situazioni,
tuttavia, in cui il responsabile del danno ambientale non è facilmente
individuabile o è insolvente. In questi casi, si ricorda la responsabilità del
proprietario del bene da cui origina il danno. Tale responsabilità è limitata
al valore del bene stesso. Questo significa che se i responsabili diretti non
sono identificabili o non sono in grado di risarcire, si può ricorrere al
proprietario del bene per ottenere un risarcimento, ma solo fino alla
concorrenza del valore del bene in questione. Tale disposizione agisce da
deterrente contro la mancata vigilanza dei proprietari sui loro beni e assicura
un'ulteriore forma di tutela per l'ambiente, sebbene limitata al valore del
bene che ha causato il danno.
Responsabilità oggettiva e soggettiva
Il danno ambientale nel
diritto italiano è trattato principalmente come una responsabilità oggettiva,
anziché soggettiva, soprattutto quando è imputabile a soggetti che svolgono
attività professionali specificatamente legate all'ambiente. Ciò implica che,
per determinate categorie di operatori, la responsabilità per il danno
ambientale sorge indipendentemente dalla prova di una loro colpa o dolo.
In altri termini, la
responsabilità non è legata al comportamento soggettivo dell'operatore ma alla
semplice causazione dell'evento dannoso.
Il Codice dell'Ambiente,
con l'articolo 298 bis, specifica chiaramente che tale responsabilità oggettiva
si applica ai danni provocati dalle attività professionali elencate
nell'Allegato 5 della Parte Sesta del decreto.
La responsabilità diviene
soggettiva, ossia legata a dolo o colpa, solo nel caso di attività diverse da
quelle elencate, dove si rende necessaria la dimostrazione di un comportamento
doloso o colposo per l'imputazione del danno.
Per quanto riguarda la
prova liberatoria della responsabilità oggettiva, l'articolo 308 del Codice
dell'Ambiente prevede specifiche circostanze in cui l'operatore può sottrarsi
alla responsabilità per le azioni di precauzione, prevenzione e ripristino. In
particolare, l'operatore non è tenuto a sostenere i costi delle misure adottate
se riesce a dimostrare che il danno o la minaccia imminente di danno:
- a) è stato causato da un terzo e si è verificato
nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee;
- b) è conseguenza dell'osservanza di un ordine o
istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli
impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore;
in tal caso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
adotta le misure necessarie per consentire all'operatore il recupero dei costi
sostenuti.1954
Inoltre, l’operatore non
è tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente
alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto qualora dimostri
che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento
preventivo a tutela dell'ambiente è stato causato da:
- a) un'emissione o un evento espressamente
consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni
legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative
adottate dalla Comunità europea di cui all'allegato 5 della parte sesta del
presente decreto, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena
conformità alle condizioni ivi previste;
- b) un'emissione o un'attività o qualsiasi altro
modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività che l'operatore
dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale
secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del
rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attività.
Questa disposizione mira
a bilanciare la necessità di proteggere l'ambiente con la giustizia verso gli
operatori, assicurando che non siano penalizzati per danni che non avrebbero
potuto prevenire o per situazioni che sono al di fuori del loro controllo ragionevole.
Di conseguenza, la normativa ambientale tende a incoraggiare pratiche
sostenibili attraverso un sistema di responsabilità che promuova la prevenzione
e l'attuazione di misure di sicurezza adeguate, piuttosto che semplicemente
punire ex post i danni provocati.
La modifica nel tempo del tipo di imputazione del danno ambientale
La normativa italiana in
materia di tutela ambientale ha subito un'evoluzione significativa nel corso
del tempo, segnando il passaggio da un sistema di responsabilità di tipo
soggettivo a uno di tipo oggettivo per i danni ambientali. Inizialmente, secondo
l'articolo 18 della legge 349/1986, la responsabilità per i danni all'ambiente
era configurata come soggettiva, nel senso che era necessario dimostrare la
colpa o il dolo dell'autore del fatto per poterlo rendere responsabile.
La previsione, infatti,
indicava che “Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di
legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente,
ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto
o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello
Stato.”
In altre parole, solo
qualora si potesse comprovare un comportamento volontariamente dannoso o
negligente che violasse le disposizioni di legge, si poteva imputare al
trasgressore l'obbligo di risarcire lo Stato per il pregiudizio arrecato
all'ambiente.
Tuttavia, tale impianto
normativo non è stato ritenuto sufficientemente efficace, soprattutto alla luce
delle esigenze e delle direttive comunitarie in materia ambientale, che
ponevano l'accento su una più ampia tutela dell'ambiente e sull'adozione del principio
"chi inquina paga" in maniera più stringente. Pertanto, si è reso
necessario un adeguamento che portasse all'introduzione della responsabilità
oggettiva nel diritto ambientale italiano.
La responsabilità
oggettiva elimina la necessità di provare il nesso tra la condotta dell'autore
e il danno arrecato, presupponendo una relazione di causalità diretta tra
l'attività svolta e il pregiudizio subito dall'ambiente. Questo cambio di
paradigma ha l'obiettivo di rendere più efficace la prevenzione dei danni
ambientali e garantire una pronta e adeguata reazione ai danni stessi. In
sostanza, ogni soggetto che svolge un'attività potenzialmente pericolosa per
l'ambiente è tenuto a prevenire e, ove necessario, a riparare il danno
ambientale causato, indipendentemente dalla dimostrazione di un suo
comportamento colpevole o doloso.
La modifica normativa,
sostenuta anche da contestazioni da parte della Commissione Europea, ha
rafforzato la tutela dell'ambiente attraverso un approccio più severo e
cautelativo, stimolando altresì gli operatori economici a investire in pratiche
e tecnologie più sicure e rispettose dell'ecosistema.
Il principio di precauzione: obbligo segnalazione e misure cautelari
Il principio di
precauzione costituisce un pilastro fondamentale nel diritto ambientale, agendo
come un meccanismo di allerta precoce e prevenzione di danni all'ambiente e
alla salute umana. Il suo obiettivo è garantire un alto livello di protezione,
intervenendo prima che si concretizzi un rischio. L'articolo 301 del Codice
dell'Ambiente riflette questo approccio proattivo: stabilisce che, dinanzi a
pericoli anche solo potenziali per la salute umana e per l'ambiente, deve
essere prioritario assicurare un'adeguata tutela.
La norma impone
specificamente agli operatori la responsabilità di segnalare immediatamente le
situazioni di rischio, dopo una valutazione scientifica obiettiva, alle
autorità territorialmente competenti, incluso il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare. Questa disposizione sottolinea l'importanza
della comunicazione e della trasparenza come misure preventive essenziali. Peraltro,
si precisa che il successivo art. 302 del codice dell’ambiente definisce
operatore “qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che
esercita o controlla un'attività professionale avente rilevanza ambientale
oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e
finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o
dell'autorizzazione a svolgere detta attività”.
Inoltre, in virtù di
questo principio, il Ministro ha il potere di implementare misure di
prevenzione (l’art 302 del codice dell’ambiente definisce le misure di
prevenzione come “le misure prese per reagire a un evento, un atto o
un'omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine
di impedire o minimizzare tale danno”), che devono essere proporzionate, non
discriminatorie, basate su un'attenta analisi costo-beneficio e aggiornabili in
base ai progressi scientifici. Queste azioni hanno lo scopo di mitigare
potenziali danni in maniera tempestiva ed efficace, agendo sul presupposto che
è meglio prevenire il pericolo piuttosto che dover intervenire a danno
avvenuto.
Infine, l'articolo
sottolinea il ruolo del Ministro nell'informare il pubblico sugli effetti
negativi di prodotti o processi dannosi per l'ambiente e nel promuovere
iniziative come la ricerca scientifica e la certificazione ambientale. Questo
approccio mira non solo a gestire le crisi imminenti ma anche a educare e
sensibilizzare il pubblico e gli operatori economici sull'importanza di un
comportamento rispettoso dell'ambiente, incentivando pratiche più sostenibili e
consapevoli.
In sintesi,
l'applicazione del principio di precauzione si manifesta attraverso una serie
di obblighi e poteri che spaziano dalla segnalazione obbligatoria di situazioni
pericolose alla possibilità di adottare misure precauzionali e dalla promozione
dell'informazione pubblica al sostegno di programmi di ricerca volti a
prevenire i danni ambientali.
Il risarcimento in forma generica e in forma specifica: introduzione
Il risarcimento del danno
ambientale privilegia il risarcimento in forma specifica rispetto a quello in forma
generica.
Ma in cosa si
differenziano in termini generali queste due tipologie di risarcimento?
Il "risarcimento del
danno" è un principio giuridico secondo cui una persona che ha subito un
danno a causa delle azioni o della negligenza di un'altra deve essere resa
intera, ovvero deve ricevere una compensazione per le perdite subite.
Esistono due forme
principali di risarcimento del danno:
- Risarcimento in forma
specifica: Questo tipo di risarcimento mira a ripristinare la situazione
specifica che esisteva prima che il danno si verificasse. Si parla anche di
"restitutio in integrum". Ciò significa che il responsabile del danno
deve fare qualcosa di specifico per correggere il torto subito dalla vittima.
Esempi possono includere la riparazione di un oggetto danneggiato, la
restituzione di una proprietà rubata o il compimento di specifiche azioni per
rimediare a una perdita. Il risarcimento in forma specifica non è sempre
possibile, ad esempio nel caso di danni alla persona o quando l'oggetto
danneggiato non può essere riparato.
- Risarcimento in forma
generica: Questo è il tipo di risarcimento più comune e solitamente prende la
forma di un pagamento in denaro. L'obiettivo è quello di fornire una
compensazione che sia equivalente al danno subito. Ad esempio, se un'automobile
viene distrutta, il risarcimento in forma generica potrebbe essere un pagamento
che copre il valore dell'auto al momento dell'incidente. Questa forma di
risarcimento è spesso utilizzata quando il risarcimento in forma specifica non
è praticabile o sufficiente a coprire l'intera estensione del danno.
In generale, il
risarcimento in forma specifica è preferito quando è possibile, ma nella
pratica legale moderna il risarcimento in denaro è più frequente, in
particolare nei casi in cui il danno non può essere fisicamente
"annullato" o quando le parti preferiscono una soluzione monetaria.
Il risarcimento del danno ambientale in forma generica e in forma specifica
Il risarcimento del danno
ambientale in Italia è disciplinato in modo tale da privilegiare il ripristino
dello stato dei luoghi (risarcimento in forma specifica) rispetto alla semplice
compensazione economica (risarcimento in forma generica). Questo approccio è
dettato dal principio che l'ambiente ha un valore intrinseco e che i danni ad
esso non possono sempre essere adeguatamente compensati con il pagamento di una
somma di denaro.
Il risarcimento in forma
specifica mira a riportare l'ambiente alla condizione in cui si trovava prima
dell'evento dannoso, attraverso azioni dirette che possono includere la
bonifica, il ripristino della biodiversità, la ristrutturazione di habitat danneggiati,
ecc.
La procedura per il
risarcimento del danno ambientale in forma specifica può essere così riassunta
(artt. 313 e 314 del codice dell’ambiente):
- Accertamento del Danno:
Inizialmente, si deve accertare che un evento abbia effettivamente causato un
danno ambientale. L'articolo 312 del Codice dell'Ambiente prevede
un'istruttoria per determinare la natura e l'entità del danno.
- Ordinanza di Ripristino:
Se è stato verificato un danno e il responsabile non ha avviato le procedure di
ripristino, l'articolo 313 prevede che il Ministro dell'Ambiente possa emettere
un'ordinanza ingiungendo ai responsabili il ripristino ambientale entro un
termine determinato.
- Soggetto tenuto al
ripristino: l’ordinanza in questione prevede che “l'ordinanza è emessa nei confronti del
responsabile del fatto dannoso nonché, in solido, del soggetto nel cui
effettivo interesse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o che ne
abbia obiettivamente tratto vantaggio sottraendosi, secondo l'accertamento
istruttorio intervenuto, all'onere economico necessario per apprestare, in via
preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i comportamenti
previsti come obbligatori dalle norme applicabili”.
- Termine per l’emissione
dell’ordinanza: L'ordinanza deve essere emessa entro un periodo limite di 180
giorni a partire dal momento in cui i responsabili, menzionati nel terzo punto,
sono informati dell'inizio dell'inchiesta. In ogni caso, deve essere emessa
entro un massimo di due anni dal momento in cui si è venuti a conoscenza
dell'evento dannoso. Questo limite temporale non si applica nel caso in cui il
responsabile del danno sia già impegnato nel processo di ripristino ambientale
a sue spese.
- Termine per il
ripristino: l'ordinanza stabilisce un periodo entro il quale il responsabile
deve ripristinare l'ambiente a proprie spese. Tale periodo può variare da un
minimo di due mesi fino a un massimo di due anni e può essere esteso se
necessario, in base all'ampiezza dei lavori da effettuare.
- Risarcimento in forma
generica: l’art. 313 del codice dell’ambiente prevede che, qualora il
responsabile del fatto che ha provocato danno ambientale non provveda in tutto
o in parte al ripristino nel termine ingiunto, venga determinato quali sono i
costi delle attività necessarie a conseguire la completa attuazione dei
ripristini provvedendo a emettere ordinanza che ingiunge tale pagamento delle somme
corrispondenti entro il termine di sessanta giorni dalla notifica.
- Calcolo del danno: Nel
calcolare l'ammontare del danno, si deve tenere conto dei danni all'ambiente,
con particolare attenzione al costo necessario per il suo completo ripristino.
L’art. 316 del codice
dell’ambiente prevede che il trasgressore, entro il termine perentorio di
sessanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza di cui all'articolo 313, può
ricorrere al Tribunale amministrativo regionale competente in relazione al
luogo nel quale si è prodotto il danno ambientale
Vari tipi di risarcimento e riparazione del danno: primaria, complementare e compensativa
Nella gestione e
riparazione del danno ambientale, è importante riconoscere che esistono diverse
tipologie di interventi, ciascuno con obiettivi e metodologie specifiche, così
come definito dalla Direttiva Europea del 2004.
La "riparazione
primaria" si riferisce alle azioni che mirano a restaurare l'ambiente
danneggiato al suo stato originario. Questo tipo di riparazione è l'obiettivo
prioritario, poiché tenta di ristabilire direttamente la condizione pre-danno
delle risorse naturali e dei servizi che esse forniscono.
Nel caso in cui la
riparazione primaria non riesca a ripristinare completamente l'ambiente, si
interviene con la "riparazione complementare". Queste misure si
occupano di ripristinare, in luoghi alternativi o attraverso metodi diversi, le
funzionalità perdute dell'ecosistema, compensando così il danno residuo che la
riparazione primaria non è riuscita ad affrontare.
Infine, la
"riparazione compensativa" prevede interventi finalizzati a mitigare
la perdita temporanea di risorse e servizi naturali nel periodo che intercorre
tra l'evento dannoso e il momento in cui la riparazione primaria ha sortito il
suo effetto completo. Si tratta di una forma di compensazione per il servizio
ecologico temporaneamente non disponibile, che può includere la creazione di
habitat alternativi o il miglioramento di risorse naturali in altri siti per
bilanciare la perdita intercorsa.
Tutti e tre i tipi di
riparazione sono fondamentali in una strategia olistica di risanamento
ambientale, e il loro uso combinato permette di affrontare il danno in maniera
comprensiva, cercando di ridurne al minimo le conseguenze negative per
l'ecosistema e per i servizi che esso fornisce all'uomo e alla biodiversità.
Il calcolo del risarcimento del danno in forma generica
Il calcolo del danno
ambientale in forma generica è una procedura complessa che rispecchia la
preferenza del diritto ambientale per la reintegrazione in forma specifica.
Quando si tratta di danni all'ambiente, molti beni non hanno un valore di
scambio sul mercato, rendendo la loro valutazione monetaria particolarmente
ardua. La legge prevede l'obbligo di riparare il danno anche quando il costo
del ripristino supera il valore economico del bene danneggiato, diversamente da
quanto accade con i beni di proprietà privata, per i quali il proprietario, e
non il responsabile del danno, risponde nei limiti del valore del bene stesso.
Per calcolare il danno in
forma generica, si considerano le tre forme di riparazione di cui si è detto:
- Riparazione primaria: si
stima il costo delle misure necessarie per riportare l'ambiente al suo stato
originario prima del danno. Questo include interventi diretti di bonifica,
riforestazione, decontaminazione, e così via.
- Riparazione
complementare: se non è possibile ripristinare completamente l'ambiente, si
valuta il costo delle misure che possono integrare il danno residuo,
eventualmente anche in un sito alternativo. Si considerano azioni che
forniscano benefici ambientali equivalenti a quelli che sarebbero stati forniti
dalle risorse danneggiate.
- Riparazione compensativa:
si quantificano le misure necessarie a compensare la perdita temporanea di
risorse e servizi naturali, dall'evento dannoso fino al completo ripristino
fornito dalle misure primarie. Questo può includere la creazione di infrastrutture
ecologiche temporanee o il sostegno a programmi di conservazione.
Quando il risarcimento in
forma specifica non è possibile o non viene adeguatamente perseguito, si può
ricorrere all'azione per il risarcimento in forma generica. Questo risarcimento
non si limita solo a coprire il valore del danno diretto ma anche a rimborsare
i costi che lo Stato sosterrà per il ripristino, i quali possono essere
significativamente maggiori.
Come regola generale, il
calcolo si basa sul costo del ripristino. Tuttavia, dato che questo è spesso
difficile da quantificare, si ricorre a valutazioni basate sul costo delle
misure di ripristino che forniscano benefici equivalenti a quelli che la risorsa
danneggiata garantiva. Questi calcoli possono richiedere la consulenza di
esperti ambientali, economisti e altri specialisti per determinare il valore
più appropriato e giusto per la compensazione del danno.
La transazione sul danno ambientale
Sul fronte del danno
ambientale, la possibilità di una transazione tra il responsabile del danno e
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare offre una
via alternativa alla risoluzione giudiziale. Il procedimento transattivo è disciplinato
dall'articolo 306 bis del codice dell'ambiente, il quale dettaglia un iter ben
strutturato, con l'intento di garantire che ogni transazione sia efficace e
rispondente agli interessi pubblici di riparazione, bonifica e tutela
ambientale.
La transazione si
configura come un accordo amministrativo che, al di fuori dell'ambito
giudiziario, permette di definire gli interventi di riparazione del danno
ambientale. Per essere considerata valida, la proposta di transazione deve
includere interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa, in
linea con i criteri di riparazione del danno ambientale. Nel caso in cui non
sia possibile un ripristino integrale, la proposta può contemplare una
valutazione economica del danno.
Elementi fondamentali di
questa procedura includono:
l’individuazione degli
interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa: ove la
proposta sia formulata per la riparazione compensativa, deve tenere conto del
tempo necessario per conseguire l'obiettivo della riparazione primaria o della
riparazione primaria e complementare.
La formulazione di un
piano di monitoraggio e controllo, particolarmente nel caso in cui permanga un
rischio residuo per la salute e l'ambiente.
La previsione di garanzie
finanziarie adeguate per assicurare la copertura economica degli interventi
proposti.
In caso di concorso di
più soggetti nell'aver causato il danno e negli obblighi di bonifica, può
essere formulata anche da alcuni soltanto di essi con riferimento all'intera
obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri concorrenti.
Una volta presentata la
proposta, il Ministero ha il compito di verificarne la ricevibilità e, in caso
affermativo, di convocare una conferenza di servizi. Questa conferenza, che
include la partecipazione di enti locali e di istituti specializzati come l'ISPRA
e l'Istituto superiore di sanità, ha il mandato di esprimere un parere
informato sugli interventi proposti. L'approvazione della conferenza è
necessaria per la validità dell'accordo.
Il processo prevede poi
l'accettazione formale da parte del proponente e la sottoscrizione di un
decreto ministeriale, seguita dal controllo preventivo di legittimità della
Corte dei conti. Questa serie di passaggi assicura che la transazione non solo
sia in linea con gli interessi pubblici, ma anche che sia attuabile e
sostenibile nel tempo.
Nel caso di inadempimento
del soggetto proponente, il Ministero può esercitare il diritto di risolvere
l'accordo, escutere le garanzie finanziarie e trattenere le somme già versate
come acconto sui maggiori importi dovuti per la riparazione del danno. Questo
meccanismo di risoluzione contrattuale evidenzia l'importanza di garantire che
l'accordo di transazione sia non solo ragionevole e equo, ma anche rispettoso
degli obblighi assunti e che vi siano conseguenze concrete in caso di mancato
rispetto degli stessi.