22 marzo 2025
Come sciogliere un contratto? È una domanda comune, soprattutto quando ci si trova legati da un accordo che non si vuole più mantenere. Capita spesso di chiedersi se sia possibile recedere da un contratto già firmato, magari invocando il diritto di ripensamento o per un cambiamento nelle proprie esigenze. Altre volte si vorrebbe disdire un contratto in corso o evitarne il rinnovo automatico. In realtà, esistono molte modalità per sciogliere un contratto, ma ciascuna ha regole e limiti precisi. In questo articolo esaminiamo le principali soluzioni previste dalla legge o dal contratto stesso: dal recesso unilaterale alla disdetta o ancora al mutuo consenso, dalle clausole risolutive alla nullità e annullamento o risoluzione del contratto, per aiutarti a capire quando è davvero possibile liberarsi da un vincolo contrattuale e quali passi è necessario seguire.

Sciogliere un contratto è possibile?
Molte persone si chiedono come sciogliere un contratto dopo averlo firmato, magari perché hanno cambiato idea o perché sono sorte nuove esigenze. È importante sapere che esistono diverse modalità per interrompere un contratto, alcune previste dalla legge e altre che dipendono da quanto pattuito tra le parti. Tuttavia, il punto di partenza da cui non si può prescindere è che il contratto, una volta validamente concluso, ha forza di legge tra le parti. Questo significa che non può essere sciolto liberamente, salvo nei casi espressamente previsti.
Nonostante ciò, il nostro ordinamento ammette una serie di situazioni in cui è possibile sciogliere un contratto. Si pensi, ad esempio, al recesso concesso per legge al consumatore nei contratti a distanza, oppure al recesso convenzionalmente previsto in un contratto di abbonamento o di fornitura. Ci sono poi ipotesi più complesse, come la risoluzione per inadempimento, l’annullamento per vizi della volontà, o ancora lo scioglimento per mutuo consenso. In ciascuna di queste situazioni, la possibilità di liberarsi dal contratto dipende da presupposti specifici che andranno valutati caso per caso.
Cosa vuol dire che il vincolo contrattuale ha forza di legge tra le parti
Quando si dice che il contratto ha forza di legge tra le parti, si intende che le obbligazioni assunte devono essere rispettate come se fossero imposte da una norma giuridica. Il principio è contenuto nell’articolo 1372 del codice civile e serve a garantire stabilità ai rapporti giuridici: una volta firmato, il contratto vincola le parti nei termini concordati, e nessuna di esse può sottrarsi unilateralmente agli impegni presi, se non nei casi espressamente consentiti dalla legge o dal contratto stesso.
Questa regola risponde a un’esigenza fondamentale, quella di tutelare l’affidamento reciproco. Quando due soggetti stipulano un contratto, ciascuno si impegna confidando che l’altro manterrà la parola data. Se il contratto potesse essere sciolto liberamente da una delle parti, senza alcuna giustificazione, verrebbe meno la certezza nei rapporti giuridici e il contratto perderebbe di valore. Proprio per questo, le eccezioni alla forza vincolante del contratto sono limitate e ben definite.
Mutuo consenso o mutuo dissenso: l’accordo per sciogliere un contratto
Se il contratto ha forza di legge tra le parti, è però altrettanto vero che le stesse parti che lo hanno voluto possono concordare di scioglierlo. Questo meccanismo prende il nome di mutuo consenso, o mutuo dissenso, ed è una modalità del tutto lecita e frequente di scioglimento del contratto. Si fonda sull’idea che la volontà negoziale che ha dato origine al contratto può essere revocata o modificata liberamente da entrambe le parti, purché vi sia accordo.
Mutuo consenso non significa semplicemente smettere di rispettare un contratto: occorre un vero e proprio accordo, espresso o tacito, in cui le parti manifestano la volontà di porre fine agli effetti del contratto, in tutto o in parte. In alcuni casi si può formalizzare con un atto scritto, come accade spesso per i contratti di locazione o per le cessioni di azienda; in altri casi può anche risultare da comportamenti concludenti, purché non vi siano obblighi formali imposti dalla legge.
Questo strumento si rivela utile quando entrambe le parti, per ragioni economiche, personali o organizzative, non hanno più interesse a mantenere in vita il contratto. È una forma di scioglimento pacifico, che evita contenziosi e permette di riorganizzare i rapporti in modo consensuale, eventualmente con la stipula di un nuovo contratto che modifichi o aggiorni il precedente.
La revoca del consenso prima che si formalizzi l’accordo
Un discorso diverso va fatto per la revoca del consenso, che non è una modalità di scioglimento del contratto già concluso, ma riguarda la fase delle trattative o della formazione del contratto. Può accadere che una persona faccia una proposta contrattuale e poi cambi idea. Finché il contratto non è stato perfezionato, cioè finché l’altra parte non ha accettato, è possibile revocare la proposta, purché la revoca giunga all’altra parte prima dell’accettazione.
Anche l’accettazione, a sua volta, può essere revocata, sempre che la revoca arrivi prima del momento in cui l’accettazione produce effetto. Questi meccanismi sono disciplinati dal codice civile e servono a garantire una certa flessibilità nella fase in cui le parti stanno ancora valutando se vincolarsi o meno. Tuttavia, una volta che la proposta è stata accettata validamente e il contratto si è perfezionato, non è più possibile revocare il consenso: da quel momento in poi, siamo nel campo dei rimedi di scioglimento veri e propri, che richiedono presupposti specifici.
La confusione tra revoca del consenso e scioglimento del contratto può nascere nel linguaggio comune, soprattutto quando si parla di “ripensamento”. Ma dal punto di vista giuridico, il ripensamento è efficace solo entro certi limiti temporali e con modalità precise. Una volta concluso il contratto, il semplice cambiare idea non basta per uscirne, se non ricorrendo a uno dei rimedi previsti dalla legge o dal contratto.
Il recesso: come posso recedere da un contratto già firmato?
Molti si domandano se sia possibile recedere da un contratto già firmato, magari a distanza di poche ore o giorni dalla sottoscrizione. In termini giuridici, il recesso è il diritto di una parte di sciogliere il contratto unilateralmente, cioè senza il consenso dell’altra. Tuttavia, questo diritto non è automatico né illimitato: per poter essere esercitato, deve essere previsto dalla legge o dal contratto stesso. Se nessuna norma o clausola consente di recedere, il vincolo contrattuale resta valido e non può essere sciolto con una semplice dichiarazione di volontà.
Le ipotesi in cui la legge attribuisce un diritto di recesso sono numerose ma ben circoscritte. Alcuni esempi tipici sono i contratti di lavoro subordinato, dove il lavoratore può recedere con preavviso; oppure i contratti con i consumatori, dove il diritto di ripensamento consente di uscire dal contratto entro certi termini. Anche nei rapporti continuativi a tempo indeterminato, come abbonamenti o forniture, il recesso è spesso previsto proprio per garantire libertà alle parti nel tempo.
Quando invece il diritto di recesso è previsto direttamente nel contratto, si parla di recesso convenzionale. Le parti possono stabilire con precisione le modalità, i termini e gli eventuali costi per esercitarlo. In altri casi, il recesso può essere esercitato solo per giusta causa, cioè in presenza di circostanze particolarmente gravi che rendono impossibile o inopportuna la prosecuzione del rapporto. È il caso, ad esempio, delle collaborazioni professionali fondate su un rapporto fiduciario o degli incarichi di durata rilevante.
In sintesi, recedere da un contratto è possibile, ma non è mai una scelta libera e incondizionata: serve una base giuridica e, in sua assenza, bisognerà cercare un’altra modalità per sciogliere il contratto, ad esempio per mutuo consenso o nei casi di risoluzione giudiziale.
Il diritto di ripensamento del consumatore: come annullare un contratto per ripensamento
Nel linguaggio comune si sente spesso parlare di “annullare un contratto per ripensamento”, ma in realtà questo è possibile solo in casi particolari previsti dalla legge. Il nostro ordinamento riconosce al consumatore un vero e proprio diritto di recesso in determinate situazioni, in particolare nei contratti conclusi a distanza, come quelli stipulati online o per telefono, oppure fuori dai locali commerciali, ad esempio durante una visita a domicilio. In questi casi, il consumatore può sciogliere il contratto senza indicare alcuna motivazione e senza sostenere costi, a condizione che eserciti il recesso entro 14 giorni dalla conclusione del contratto o dalla consegna del bene.
Si tratta di una tutela pensata per proteggere il consumatore da decisioni impulsive o da situazioni in cui non ha potuto valutare con calma il contenuto del contratto. È un meccanismo automatico e molto efficace, ma ha dei limiti: non si applica a tutti i contratti. Sono esclusi, ad esempio, i contratti per beni confezionati su misura o personalizzati, le prestazioni di servizi già eseguite con il consenso del consumatore, o le prenotazioni legate al tempo libero, come biglietti per spettacoli o viaggi. È quindi importante capire che il diritto di ripensamento non è una regola generale, ma un’eccezione legale ben regolata, che può essere esercitata solo nei casi espressamente previsti.
Il recesso nei rapporti a tempo indeterminato
Una forma molto comune di scioglimento del contratto è il recesso nei rapporti a tempo indeterminato. Si tratta di contratti che non prevedono una scadenza, ma che proseguono fino a quando una delle parti decide di porvi fine. In questi casi, la legge riconosce a entrambe le parti la possibilità di recedere liberamente, purché venga rispettato un termine di preavviso ragionevole o pattuito. È un principio di equilibrio: da un lato si tutela la libertà di interrompere un rapporto non più conveniente, dall’altro si evita che una cessazione improvvisa causi danni all’altra parte.
Questo tipo di recesso è frequente nei contratti di fornitura, nei servizi di abbonamento, nelle collaborazioni professionali continuative e in generale in tutti quei rapporti in cui il legame si rinnova automaticamente nel tempo. In molti casi, il contratto indica già modalità e termini per l’esercizio del recesso; se non lo fa, si applicano i principi generali del codice civile, che impongono comunque di rispettare la buona fede e di concedere un preavviso sufficiente. In mancanza di tale preavviso, la parte recedente può essere chiamata a risarcire il danno derivante dall’interruzione anticipata.
Il recesso nei contratti a tempo indeterminato è quindi uno strumento molto utile per sciogliere un vincolo che non si vuole più mantenere, ma deve essere esercitato correttamente per non generare contestazioni. È sempre consigliabile verificare con attenzione quanto previsto dal contratto e, in caso di dubbi, rivolgersi a un professionista.
Il recesso con penale: sciogliere il contratto pagando una somma
Alcuni contratti prevedono la possibilità di recedere anticipatamente, ma solo a fronte del pagamento di una somma di denaro. In questi casi si parla di recesso con penale, una clausola che consente di sciogliere il contratto prima della sua naturale scadenza, compensando l’altra parte con un importo prestabilito. Questa somma può servire, ad esempio, a recuperare sconti concessi al momento della firma oppure a coprire i costi sostenuti dal contraente che subisce il recesso.
La clausola penale è perfettamente legittima e trova fondamento nel codice civile, che consente alle parti di stabilire preventivamente le conseguenze economiche di un eventuale scioglimento. Tuttavia, la penale non deve essere eccessiva o sproporzionata rispetto all’interesse dell’altra parte: se lo è, il giudice può ridurla. In molti contratti di telefonia, energia o pay TV, ad esempio, è prevista una somma da pagare in caso di recesso anticipato, spesso legata alla durata residua del contratto o agli sconti promozionali fruiti.
Chi intende esercitare il recesso in presenza di una penale deve quindi valutare con attenzione il costo effettivo dell’uscita, tenendo conto di quanto stabilito nel contratto. Anche in questi casi, conoscere i propri diritti è essenziale per non trovarsi a pagare più del dovuto o per non perdere un’occasione di liberarsi legittimamente dal vincolo contrattuale.
La disdetta per impedire il rinnovo
Un’altra forma di scioglimento del contratto, spesso confusa con il recesso, è la disdetta. A differenza del recesso, che interrompe un contratto in corso, la disdetta serve a impedire che il contratto si rinnovi automaticamente alla scadenza. È tipica dei contratti a tempo determinato con rinnovo tacito, come quelli di locazione, di assicurazione o di servizi periodici.
La disdetta deve essere comunicata entro un certo termine prima della scadenza del contratto, altrimenti il rinnovo scatta automaticamente alle condizioni previste. I termini per esercitarla possono variare a seconda del tipo di contratto e di quanto pattuito tra le parti. Per esempio, nei contratti di locazione abitativa il termine legale è di sei mesi prima della scadenza, salvo diverse previsioni contrattuali.
È importante non confondere la disdetta con il recesso, perché le conseguenze giuridiche sono diverse. Se si invia una disdetta oltre i termini, il contratto si rinnova e sarà necessario attendere la nuova scadenza o trovare un’altra via per sciogliere il rapporto. Per questo motivo, è sempre consigliabile verificare con attenzione i termini e le modalità previsti dal contratto e agire con il giusto anticipo.
Le condizioni sospensive e risolutive
Alcuni contratti contengono al loro interno delle condizioni che ne determinano la nascita o lo scioglimento automatico. Si parla in questo caso di condizioni sospensive e risolutive. La condizione sospensiva è un evento futuro e incerto al cui avverarsi il contratto comincia a produrre effetti. Finché la condizione non si verifica, il contratto resta “in attesa”, sospeso, senza ancora impegnare le parti in modo definitivo.
La condizione risolutiva, al contrario, è un evento che, se si verifica, fa cessare gli effetti del contratto. In altre parole, il contratto è efficace da subito, ma può essere sciolto automaticamente se si realizza la condizione pattuita. Questo tipo di previsione è utile, ad esempio, nei contratti in cui una parte vuole tutelarsi rispetto a un determinato rischio futuro: si pensi alla vendita subordinata all’ottenimento di un finanziamento, oppure alla cessazione automatica di un contratto di lavoro in caso di perdita di un requisito specifico.
Le condizioni contrattuali, quindi, pur non rappresentando una causa di scioglimento in senso tradizionale, svolgono una funzione molto simile: consentono alle parti di regolare l’inizio o la fine degli effetti contrattuali in modo automatico, in presenza di circostanze predeterminate. In questo senso, sono uno strumento utile per ottenere lo scioglimento del contratto senza dover ricorrere ad atti ulteriori o a iniziative unilaterali.
Nullità e annullamento: quando il contratto è invalido
Non sempre un contratto è destinato a produrre effetti validi. In alcuni casi, infatti, può risultare invalido sin dall’origine oppure può essere annullato successivamente. La nullità si verifica quando il contratto è privo di uno degli elementi essenziali richiesti dalla legge, oppure quando ha un contenuto contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. In questi casi, il contratto è considerato come se non fosse mai esistito e non produce alcun effetto giuridico.
L’annullamento, invece, riguarda contratti che sono stati validamente conclusi ma viziati da un difetto nella volontà di una delle parti. Accade, ad esempio, quando il consenso è stato prestato per errore, sotto minaccia (violenza) o a causa di dolo, cioè un inganno. Anche l’incapacità di una delle parti, come nel caso di un minore non autorizzato, può essere causa di annullamento. In questi casi, il contratto è efficace, ma può essere eliminato retroattivamente se chi ne ha interesse esercita l’azione entro i termini previsti dalla legge.
Sebbene non si tratti di una forma volontaria di scioglimento, sia la nullità sia l’annullamento comportano, in concreto, la cessazione degli effetti del contratto. Parlare di invalidità significa quindi affrontare un altro possibile modo per far “scomparire” il contratto, anche se per ragioni patologiche. Dal punto di vista pratico, l’esito è simile allo scioglimento: il rapporto giuridico viene meno, con conseguente restituzione delle prestazioni eventualmente eseguite.
Risoluzione per inadempimento, impossibilità o eccessiva onerosità
Non sempre il contratto si scioglie per volontà delle parti. In alcuni casi, infatti, è la legge a prevedere la possibilità di porre fine al rapporto quando intervengono circostanze che ne compromettono l’equilibrio o l’esecuzione. La risoluzione è uno strumento previsto per far cessare il contratto in presenza di fatti gravi e rilevanti. L’ipotesi più nota è quella della risoluzione per inadempimento: se una parte non adempie correttamente alle proprie obbligazioni, l’altra può chiedere la risoluzione del contratto e ottenere anche il risarcimento del danno.
Un’altra ipotesi è la risoluzione per impossibilità sopravvenuta, che si verifica quando, per cause non imputabili alle parti, l’esecuzione del contratto diventa oggettivamente impossibile. È il caso, ad esempio, della distruzione di un bene oggetto della compravendita o di un evento esterno che rende irrealizzabile la prestazione. Infine, vi è la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, che può essere invocata nei contratti di durata quando eventi straordinari e imprevedibili rendono la prestazione eccessivamente gravosa per una delle parti, alterando l’equilibrio originario.
Tutte queste ipotesi, pur differenti tra loro, hanno un tratto comune: permettono di sciogliere un contratto per cause che si manifestano nel corso del rapporto e che impediscono o rendono irragionevole la prosecuzione. In genere richiedono un accertamento giudiziale, ma nei casi più gravi la risoluzione può anche essere dichiarata unilateralmente, salvo poi essere confermata in giudizio. Sono rimedi tecnici, ma fondamentali per tutelare chi si trova in situazioni non previste al momento della firma.
Conclusione: come orientarsi tra le diverse modalità di scioglimento del contratto
Come abbiamo visto, sciogliere un contratto è possibile in molte circostanze, ma non esiste un’unica strada. Alcune modalità sono consensuali, come il mutuo dissenso; altre sono unilaterali, come il recesso; altre ancora richiedono un intervento del giudice, come nel caso della risoluzione o dell’annullamento. In ogni ipotesi, è essenziale valutare con attenzione i presupposti richiesti e le conseguenze giuridiche che ne derivano.
Per orientarsi tra le varie possibilità occorre partire da una lettura attenta del contratto, verificando se sono previste clausole di recesso, penali, condizioni sospensive o risolutive. Allo stesso tempo, bisogna considerare se esistano norme di legge applicabili al caso concreto, in grado di offrire una via di uscita. In assenza di strumenti contrattuali o legali, l’unica soluzione può essere cercare un accordo con l’altra parte, evitando il conflitto e tutelando i propri interessi in modo equilibrato.
Sciogliere un contratto, dunque, è possibile, ma non è mai un’operazione da prendere alla leggera. Conoscere i propri diritti, leggere con attenzione le clausole e – quando serve – farsi consigliare da un professionista sono i passi giusti per gestire nel modo migliore ogni situazione contrattuale.
FAQ – Sciogliere un contratto: domande frequenti
1. Posso sciogliere un contratto dopo averlo firmato?
Sì, ma solo in determinati casi. È possibile sciogliere un contratto firmato se esiste una clausola di recesso, se si tratta di un contratto con diritto di ripensamento (come quelli a distanza), oppure se ci sono ragioni legali come l’inadempimento o l’annullabilità. Ogni caso va valutato con attenzione.
2. Quanto tempo ho per disdire un contratto?
Il termine per disdire un contratto dipende dal tipo di contratto e da quanto previsto nel testo contrattuale. In genere, è necessario rispettare un periodo di preavviso, che può essere di pochi giorni oppure di diversi mesi. Ad esempio, nei contratti di locazione abitativa la legge prevede un preavviso di sei mesi per il conduttore, salvo accordi diversi. In altri casi, il termine può essere liberamente stabilito tra le parti. È quindi importante leggere con attenzione le clausole relative alla disdetta e, in caso di dubbio, chiedere una consulenza per evitare di perdere la scadenza utile.
3. Si può annullare un contratto per ripensamento?
Solo in casi specifici. Il cosiddetto “ripensamento” è ammesso nei contratti a distanza o fuori dai locali commerciali, dove il consumatore ha 14 giorni di tempo per recedere senza penali. Al di fuori di queste ipotesi, cambiare idea non è sufficiente per sciogliere un contratto.
4. Cosa succede se recedo da un contratto con penale?
Se hai firmato un contratto che prevede una penale per il recesso anticipato, puoi comunque uscire dal contratto, ma dovrai corrispondere l’importo pattuito. In alcuni casi, se la penale è manifestamente sproporzionata, può essere ridotta dal giudice. È importante leggere attentamente la clausola prima di decidere.
5. Come si può sciogliere un contratto senza l’accordo dell’altra parte?
Puoi sciogliere un contratto unilateralmente solo se la legge o il contratto lo consentono. È il caso, ad esempio, del recesso previsto per legge, della risoluzione per inadempimento o dell’impossibilità sopravvenuta. In alternativa, puoi agire giudizialmente per ottenere lo scioglimento.
6. Che differenza c’è tra recesso, disdetta e risoluzione?
Il recesso è lo scioglimento unilaterale durante l’esecuzione del contratto. La disdetta serve a evitare il rinnovo alla scadenza. La risoluzione, invece, si applica quando una parte non adempie o quando intervengono cause che rendono impossibile o eccessivamente onerosa la prestazione. Sono strumenti diversi, da usare in situazioni differenti.

Richiedi una consulenza