24 giugno 2025
Cos’è la clausola floor secondo la Cassazione e quando è valida nei mutui a tasso variabile? La clausola floor, che stabilisce un tasso minimo d’interesse, è legittima se chiaramente pattuita. La Cassazione, con la sentenza n. 1942/2025, ha confermato che non si tratta di un contratto derivato ma di un accordo lecito, a condizione che il mutuatario ne sia stato pienamente consapevole. In questo articolo approfondiamo i presupposti giuridici, le condizioni di validità e le implicazioni pratiche di questo tipo di clausola.

Cos’è una clausola floor?
Nel contesto dei mutui a tasso variabile, la clausola floor è una previsione contrattuale che stabilisce un limite minimo al tasso d’interesse applicabile. In pratica, anche se l’indice di riferimento scendesse sotto una determinata soglia (ad esempio l’Euribor o il tasso BCE), il mutuatario continuerà comunque a pagare interessi a un tasso non inferiore a quello minimo fissato nel contratto. La funzione della clausola floor è quindi quella di proteggere la banca da eventuali ribassi troppo marcati dei tassi, assicurandole un margine minimo di guadagno.
Una clausola di questo tipo è legittima nella misura in cui viene pattuita in modo chiaro e compresa dal cliente al momento della sottoscrizione del contratto. Ciò è particolarmente rilevante quando si tratta di soggetti non esperti del settore finanziario, come spesso accade nei rapporti tra istituti di credito e consumatori.
Il contenuto della clausola floor si collega direttamente all’oggetto del contratto, poiché incide sulla determinazione del corrispettivo dovuto dal mutuatario. La sua validità, tuttavia, dipende da come viene formulata nel contratto: non può essere ambigua, né formulata in modo da sorprendere il cliente o da implicare oneri non espressamente dichiarati.
Clausola floor Cassazione: cosa dice la legge
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la clausola floor non rappresenta un meccanismo occulto o una sofisticazione finanziaria travestita da derivato. Questo è il punto centrale della sentenza Cass. 28 gennaio 2025, n. 1942, che conferma un orientamento ormai consolidato in ambito giurisprudenziale. La clausola che stabilisce un tasso d’interesse minimo, pur in presenza di un indice di riferimento variabile, è stata definita un semplice patto condizionale, regolato dall’art. 1353 del Codice Civile.
La Corte rigetta quindi l’argomentazione secondo cui tale clausola equivarrebbe a una vendita implicita di un’opzione finanziaria (il cosiddetto “floor”) dal cliente alla banca. Non si tratta, secondo la Cassazione, di un contratto derivato, ma piuttosto di una modalità lecita con cui le parti stabiliscono una soglia sotto la quale il tasso d’interesse non può scendere, anche se l’indice di riferimento si abbassa ulteriormente.
In termini legali, questo meccanismo è del tutto lecito se chiaramente esposto nel contratto e se rispetta le disposizioni sul contenuto della pattuizione degli interessi. La sentenza rafforza l’idea che il diritto contrattuale consente alle parti, nel rispetto della normativa vigente, di organizzare in modo flessibile le condizioni economiche del mutuo.
Trasparenza e chiarezza nei contratti bancari
Uno degli aspetti più frequentemente discussi quando si parla di clausola floor nei contratti di mutuo riguarda il grado di consapevolezza del cliente e la trasparenza della documentazione contrattuale. La Cassazione, con varie pronunce anche antecedenti alla n. 1942/2025, ha stabilito che per essere valida la clausola sugli interessi deve avere un contenuto assolutamente univoco, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, c.c. In altre parole, deve risultare con chiarezza quale sia il tasso applicato, e secondo quali parametri venga aggiornato.
Non sono ammessi riferimenti vaghi o generici. È richiesto che il contratto indichi in maniera esplicita quale parametro nazionale o interbancario sarà utilizzato, e con quali limiti minimi o massimi. In questo contesto, una clausola floor può considerarsi trasparente se chiarisce il meccanismo di funzionamento, indicando ad esempio che, nonostante la variabilità, l’interesse non potrà mai scendere sotto una soglia predeterminata, come il 3,25%.
Inoltre, se il contraente è un consumatore, entra in gioco anche il Codice del consumo. Secondo l’art. 34, comma 2, le clausole che determinano l’oggetto del contratto o il corrispettivo non possono essere valutate come vessatorie, salvo che non siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Di conseguenza, anche una clausola floor, pur attinente al cuore del contratto, potrebbe essere ritenuta illegittima se scritta in termini ambigui o tecnici non spiegati. Il rispetto di trasparenza e comprensibilità resta quindi decisivo, anche oltre il piano strettamente civilistico.
Cosa indica la Cassazione nella sentenza 28 gennaio 2025 n. 1942
La sentenza n. 1942 del 28 gennaio 2025 della Corte di Cassazione ribadisce un principio giuridico ormai consolidato: la clausola floor non rappresenta una sofisticazione finanziaria né un’operazione derivata mascherata. Secondo la Corte, considerare la clausola come se il cliente avesse inconsapevolmente “venduto” una opzione floor alla banca è un artificio interpretativo privo di fondamento. Il tasso minimo stabilito contrattualmente non è altro che una clausola condizionale, lecita ai sensi dell’art. 1353 c.c., che prevede il pagamento di un determinato interesse solo al verificarsi di una condizione (cioè, la discesa dell’indice di riferimento sotto una certa soglia).
La Cassazione ha precisato che, nella fattispecie esaminata, il contratto indicava chiaramente sia il tasso iniziale applicabile (3,25%) sia il funzionamento del meccanismo in caso di oscillazione del parametro. Ciò ha portato il Collegio a escludere sia la vessatorietà della clausola, sia la mancanza di consapevolezza da parte del cliente. Non vi è stato alcun elemento che lasciasse supporre un’adesione inconsapevole o forzata a una clausola occulta.
Secondo i giudici, il cliente era perfettamente informato e consapevole della misura del corrispettivo pattuito. Di conseguenza, non si trattava di una clausola ambigua o inaccessibile, né di una previsione che potesse eludere la comprensione del consumatore o aggirare i principi di buona fede e correttezza contrattuale.
I passaggi centrali della sentenza della Cassazione del 2025
La sentenza, in relazione a quanto sopra riassunto, ha indicato nello specifico che “costituisce un puro artificio la tesi secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore di una option floor, e dunque un contratto derivato. Infatti la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell'indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l'evento condizionante è la fluttuazione dell'indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l'evento condizionato la misura del saggio: dunque un patto lecito e consentito dall'art. 1353 c.c." (Cass. Sez. U. 23 febbraio 2023, n. 5657, in motivazione, par. 5.6.3; conforme da ultimo Cass. n. 5151/2024)”. Quanto nello specifico alla tutela del consumatore, il riferimento è al fatto che si tratta di una pattuizione che coinvolge l’oggetto del contratto, che è vessatoria solo se non sia chiara e comprensibile: “Va osservato che la clausola floor contenuta nel contratto stipulato dalle parti attiene alla determinazione dell'oggetto del contratto e/o all'adeguatezza del corrispettivo e, pertanto, è anche esclusa dal vaglio di vessatorietà ai sensi dell'art 34, comma 2, del codice del consumo, essendo formulata in maniera chiara e comprensibile”.

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